Il bar di Ahmed Ela |
Vorrei che Carlin Petrini fosse qui. In vetta all’Erta Ale,
vulcano della Dancalia. Per osservare il lavoro di Bruk. Provate voi a preparare cannelloni ripieni
per quattordici turisti, quattro scout, quattro cammellieri, un paio di guide e
sei soldati. Vorrei vedere qualcun altro cucinare, sopra due bomboloni, con una
torcia da testa e quasi senz’acqua. Vorrei vedere un altro cucinare come fanno
i cuochi d’Africa. I cuochi d’Africa
sono i migliori del mondo, al diavolo il politically
correct. I più bravi, i più resistenti, i più capaci, i più geniali.
Ho visto Bruk lavorare con venti di sabbia, con polvere di
lava che roteava attorno ai suoi fuochi. L’ho visto preparare a notte fonda riso con verdure per
il giorno dopo. L’ho visto imbandire una tavola in mezzo alla Piana del Sale.
L’ho visto pelar patate e mettere una goccia di aceto balsamico come ultimo tocco sui cannelloni. L’ho visto grigliare
carne e sfornare pane da un forno ricavato da ciottoli vulcanici.
Bruk di ritorno dal forno di Ahmed Ela |
Bruk ha solo 23 anni. Una volta, quando era ancora più
giovane, mi apparve davanti con un grembiulino a fiori e io sorrisi stupito. La
madre di Bruk è dorze, popolo del Sud
dell’Etiopia. Non credo che Bruk abbia mai conosciuto suo padre. Ha due fratelli e
una sorella. Lui è il più grande. Ebbe una qualche fortuna: ogni volta che alcune guide di gruppi di
turisti arrivavano a Jinka, crocevia del Sud etiopico, lo ingaggiavano come
aiuto cuoco (che vuol dire: tagliare aglio e cipolle, ubbidire al volo ai comandi del cuoco, lavare montagne di
piatti, ripulire la cucina). Si fece notare, Bruk. Qualcuno intuì una possibilità. E gli pagò il
viaggio verso Addis Abeba. Bruk poteva davvero essere un cuoco.
Bruk nella capanna-cucina |
Un anno di scuola a Piazza, quartiere del centro della capitale
etiopica. ChefYes, si chiama la scuola. Il ragazzo impara. L’agenzia turistica
lo assume. Vale la pena provare. E a lui vengono affidati i viaggi complicati:
il Sud con troupe cinematografiche, la Dancalia con le sue lave e i suoi
vulcani, i viaggi a piedi. Bombole e cibo che viaggia a dorso di asino o
cammello. Pranzi e cene da preparare pensando già all’indomani. Cucinare di
notte. Non dormire mai. Svegliarsi ben prima dell’alba per le colazioni. Avere a mente le bizzarrie dei turisti venuti dall'occidente: ci sono i vegetariani, i vegani, chi ha allergie, chi non sopporta certi cibi, chi vuole solo pasta e chi invece vorrebbe saperne di più di gastronomie etiopiche. Provate a voi a tenerli a bada. Bruk ci riesce.
In vetta all'Erta Ale |
La sua cucina (una capanna, un igloo di pietre, un riparo di
fortuna) è un campo di battaglia. Cipolle e melanzane disperse ovunque, due
pentole che sobbollono. Una zuppa dei miracoli che salta fuori come per incanto (è la sua specialità), una torta per
un compleanno annunciato solo nel pomeriggio, lasagne che aiutano a rendere
bella la vita e uno spicchio d’arancia alla fine.
Cucinare ad Ahmed Ela |
‘No, non è la stessa cosa cucinare nel field e stare in una grande cucina. Qui bisogna darsi da fare con
niente e garantire allo stesso tempo qualità’. Bruk mette soldi da parte. Tutti
capiscono che le mance per lui devono essere generose. Spera, un giorno di
aprire, un piccolo ristorante al suo paese. Al Sud.
Fatuma cucina per la famiglia |
A notte, nel villaggio di Ahmed Ela, paese di cavatori del sale, ho
visto le ombre di Bruk e di Marta, la sua aiutante, allontanarsi nel buio una
volta che tutto era finito in cucina. Si sono seduti su una pietra e, per un
po’ di tempo, li ho sentiti parlare con leggerezza.
Fatuma e il porridge |
Invitate questi cuochi d’Africa a SlowFood, vi prego. Applausi e un inchino per Bruk e i suoi colleghi.
Di ritorno dalla Dancalia, 21 dicembre
Nessun commento:
Posta un commento