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Le ragazze di Afdera |
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Ingresso ad Afdera |
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La dove era mezza Afdera |
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La dove era mezza Afdera |
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Là dove era mezza Afdera |
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Pali elettrici ad Afdera |
L’Afdera Hotel era un bel bordello. Angolo centrale di
questo avamposto da far-west, luogo prediletto dai camionisti del sale. A
notte, usciva musica dai bassi cupi, versione etiopica di colpi che arrivano
direttamente nel basso ventre. Non vedevi a centimetro dal tuo viso nell’Afdera
Hotel, ma sapevi di essere osservato. In genere, uscivi velocemente, non è
posto da bianchi.
Corto circuito. Oppure le braci di un fornelletto per il
caffè. La cartapesta delle pareti dell’Afdera Hotel sono state un innesco
perfetto. L’incendio è divampato in una notte che non conosceva luna. Questo è sempre accaduto nel Far-West.
Nessuno ha provato veramente a fermare e fiamme. Puttane e camionisti si sono
messi a distanza di sicurezza a guardare mezza città andare in fumo. Passeggio
fra rovine che non sono nemmeno rovine. Sono passati sette mesi dal rogo.
Lamiere annerite, plastiche contorte, poltiglia nerastra, ferri arrugginiti.
Land-art di un incendio. I camionisti non hanno ancora elaborato il lutto della
scomparsa dell’Afdera Hotel. Ora si arrangiano in baracche malmesse. Aspettano
una rinascita. Scheletri di legno sono le nuove case della gente del sale. Si
ricomincia. Come prima. I cinesi hanno deciso di spezzare in due quello che rimane
di Afdera con uno stradone a sei corsie. Asfalto di Dancalia. Correi verso la
polvere di un deserto stremato. Va verso la linea dei vulcani. La modernità non
lascia in pace nemmeno la desolazione del mondo.
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Le camere dell'Horaur Hotel |
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Precauzioni all'Horaur Hotel |
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Arte moderna all'Horaur Hotel
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Il nostro vecchio albergo, invece, si è salvato. Anzi: hanno ridipinto le pareti delle camere e costruito un capolavoro di arte contemporanea nella corte. Hanno intrecciato carriole e ferri contorti. Roba da Biennale. Lo scultore che è con noi prende nota. Replicherà. Io sono felice di stare qui. All'hotel Horaur. Mi scopro conservatore. Mi piacerebbe dormire ancora una volta qui.
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Il lago Afdera |
Il barone Raimondo Franchetti cambiò il nome al lago. Gli
afar intuirono che qualcosa doveva essere successo, ma non se ne resero conto e
del resto quella era una storia da bianchi. Sui nostri atlanti il lago Afdera,
il lago dalla punta, divenne il lago Giulietti, un arrogante esploratore che venne
a farsi uccidere da queste parti alla fine dell’800. Franchetti dovette in
qualche modo pentirsene e allora chiamò sua figlia Afdera. Nome che dovette colpire Henry Fonda che, per una breve
periodo di tempo, fu suo marito.
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Il vulcano Marahà |
I cinesi hanno sfidato perfino i miraggi. C’è un
vulcano-muraglia lungo la loro strada. Non hanno creduto a quanto dicevano gli
afar: ‘Il Marahà è irraggiungibile’. Era vero. Ho provato a sfiorare le sue
pendici, ma questa è ‘una montagna che si allontana’. Più te ne avvicinavi e
più sembrava allontanarsi. Appare a un passo e, invece, lui si sposta
sull’orizzonte. Ho rinunciato a inseguirlo, mi era sufficiente guardarlo da
lontano. I cinesi hanno cancellato la Fata Morgana: hanno diretto il loro
asfalto verso il vulcano che scappava.
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L'uomo del sale di Afdera |
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Le saline di Afdera |
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I sacchi del sale |
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I lavoratori del sale |
Oramai chiedo a chiunque: ‘Tu quanto guadagni’. Cammino
accanto a un uomo del Wollo, un musulmano magrissimo. Lavora nelle saline. Mi
risponde: ‘Mille birr al mese’. Guardo le sue mani strappate dal sale. Meno di
cinquanta euro al mese. Devi pagare alloggio, cibo e trasporti.
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L'attesa dei dromedari sulla lava |
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L'attesa dei cammellieri |
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L'attesa del vulcano |
Alle pendici del vulcano. Niente è cambiato. Tutto è
cambiato. Ci sono rifiuti e nuove capanne. Le due vecchie acacie spinose sono
lì. I dromedari arrivano con la loro lentezza. Parlo dell’incidente. A gennaio, in cima all’Erta Ale, il vulcano, sono stati
uccisi cinque turisti. Un agguato notturno. Le versioni si moltiplicano. La più
probabile: rivalità fra famiglie afar, sgarro di affari e codici di onore del
deserto, arroganza di chi voleva ricavare troppi soldi dal turismo. Bisognava
fargliela pagare. E così sono saliti armati sul vulcano e hanno insanguinato
una notte. Qualcuno giù al villaggio sapeva e aveva avvertito. Alla maniera
afar, ovviamente. Non era stato preso sul serio. Gli uomini che abitano lontano
dal deserto di lava non sanno interpretare i segni o le parole non dette.
Forse nemmeno io avverto segnali. Ghlisa, il capo villaggio
di Karsawaat, è sbrigativo e gentilmente brusco. Come sempre la sua capanna è
affollata e sudata. Mi abbraccia. Spalla contro spalla. Mi ricorda le promesse
che non ho mantenuto: dovevamo prenderci cura di un suo figlio, avrei dovuto
scrivere di lui in un libro. In realtà risolve la pratica dei nostri permessi
in dieci minuti. Ci affida scout di famiglia. Vuol dire che il suo potere non è
stato scalfito da quanto avvento a gennaio. Andiamo. Ora non ci resta che
aspettare la luna e salire.
Seguiamo le tracce di quegli uomini che qui hanno perso la
vita. Senza pensieri. Un passo dopo l’altro. Oramai conosco questo cammino. Un
passo dopo l’altro. Non mi sono mai sentito insicuro in questa terra. I nostri
scout mi appaiono indifferenti. Saliamo con lentezza. Il vulcano da qualche
scossone, ma anche lui appare disinteressato a noi, intrusi fra la sua lava.
Ecco i tre hornitos, ecco l’ultimo
strappo.
Alla fine mi affaccio sull’Erta Ale. Guardo i bagliori della lava. Ho sapere di
questo paesaggio. Sono tranquillo. Mi siedo e non faccio nulla. ‘Far niente in
un mondo nuovo è la più impegnativa delle occupazioni’.
Erta Ale, 29 novembre
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