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Giorno di mercato, al sabato, a Oliveto Lucano. Bancarella accanto alla Cima |
Sabato, undici di agosto. Al mattino presto, l’aria ha ancora la frescura della notte.
Dietro la Niviera, piccola valle alle spalle del paese, luogo dagli inverni
gelidi, lo sposo, il cerro, il Maggio ha passato una notte in attesa. Questo
stradello conduce al cimitero di Oliveto Lucano. E’ stato chiamato ‘Via del
Maggio’. Al mattino sono pochi gli uomini al lavoro. I ragazzi della Cima sono
scomparsi. Una notte da ubriachi. Non si vedranno per tutta la mattina. Qui ora c’è solo gente esperta. Come Francù, come Nicola, come ‘ndianatridd, Vittorio, che scalò il suo primo Maggio sessanta anni
fa. E lui, magro, piccolo, energico come un furetto, una gamba malata, sembra dirigere ancora l’orchestra
dei lavori dell’innalzamento dello sposo. Figlio d’arte, mastro Vittò. Originario di Accettura, paese a dieci chilometri, terra della storia dei Maggi della Lucania. Suo padre era uno scalatore celebre
dell’albero. Raccontano sempre che una volta andò a riprendersi un trapezista di
un circo che aveva tentato la scalata e non riusciva più venir giù. Una storia diventata leggenda. Vittorio sposò una donna di Oliveto e qua è venuto a vivere. ‘Ho fatto la tradizione
di questo paese’.
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Lavori attorno al Maggio |
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Il Maggio deve essere 'lisciato' |
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Via del Maggio |
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Mastro Vittò di fronte alla croccia |
‘La prima volta sono salito a sedici anni. Doveva essere il
1953 - ricorda Vittò - . Gli amici mi nascosero in un capannello. Feci un salto, cominciai a
salire. Avevo visto come faceva mio padre. Ero a dieci metri di altezza che lui
se ne accorse. Si arrabbiò di brutto e mi promise schiaffi non appena fossi stato a terra. Un amico gli mise una mano sulla spalla: Devi andare contento che tuo figlio è andato a salire’. Non ho mai
smesso per quarant’anni. Se non avessi questa gamba malata, lo farei ancora.
Mia moglie è venuta una volta a vedermi e poi non ha più voluto. Non devi aver
paura. Mai. Se hai paura, è meglio che non ci provi. Mi tenevo su con la punta
delle scarpe’. Tira fuori una vecchia foto sbiadita: ‘Guarda dove sono’. Sta
lassù, un puntino nel fogliame della Cima’. I due figli di Vittò lavorano a
Firenze. ‘In un albergo a quattro stelle. Può ospitare fino a quattromila
persone’, dice con orgoglio. E torna a dirigere, con consigli burberi, i
complessi lavori di alzata del Maggio.
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Mastro Vittò e Francù al lavoro sulla croccia |
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I masciaioli |
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Il cantiere del Maggio |
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La corda si annoda |
Tutta la mattina ci vuole. Bisogna tirare su le ‘spont, gli alberi-puntello. Devono
sostenere la croccia, l’albero sul
quale fare leva per issare il grande Maggio. E’ lavoro di motoseghe, di
boscaioli, di accette. E’ gente che sa di legno, questa. Si intrecciano corde
da marinaio. Bisogna far salire la corda sulla croccia. Francù, Nicola, Nino e Vittò salgono afferrando le vrocc’, i pioli. Ora vi è bisogno di
braccia. Si va a chiamare aiuto in paese. Bisogna manovrare l’argano, impedire
che la corda si intrecci, tirare su gli ‘spont.
Gli ordini si sovrappongono. Fatica nell’aria. Un po’ di confusione. Vittò si
arrabbia. Alla fine, in cigolare di corde e grida degli uomini, i due puntelli
vengono tirati su. Il lavoro della mattina è finito.
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L'argano per innalzare le spont' |
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La fatica di chi sta all'argano |
Nicola, 42 anni, è l’erede di Vittò. Da più di vent’anni
sale il Maggio di Oliveto. Boscaiolo. Lavora con accetta e motosega. Parla con i suoi silenzi. L'ho conosciuto mentre scolpiva un grande cucchiaio di legno e beveva a garganella da una botticella di vino. ‘I nostri padri ci hanno lasciato questa tradizione. E noi dobbiamo
mantenerla. Per questo sono salito la prima volta. Non volevo che scomparisse.
Non ho mollato. Bisogna lavorare tutto l’anno. C’è la croccia da cambiare. E’ invecchiata. Oggi i giovani vanno via dal
paese, non sanno fare, ma questa festa va costruita tutto l’anno’. C’è qualcosa che vuole
dirmi, ma è incerto, Nicola. Si può fidare di uno sconosciuto? Di uno che non è del paese? ‘Mio nipote sta imparando. Lui continuerà. Io non
so. Si invecchia in fretta a fare il boscaiolo. Senti gli anni. Ti accorgi che
sono passati. Stai fuori al freddo, alla pioggia, alla fine qualcosa accade al
tuo corpo. E’ tempo di passare la mano’. Nicola lavora in silenzio. E’ sempre
lui a fare i lavori più delicati con la motosega’. Mi fa notare: ‘Qui non c’è
molta pendenza. La geografia non ti aiuta: dobbiamo sollevare il Maggio quasi senza alcun
appoggio. Non è così facile’. Ha finito di arrotare le lame della motosega.
Torna a trafficare attorno al Maggio.
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La questua casa per casa |
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Drappo per San Cipriano e San Rocco |
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La banda di Valle del Diano |
Al pomeriggio è l’ora di San Rocco, leggendario Santo, molto amato al Sud, dalla gente delle campagne, protettore del bestiame. La sua statua (un grande cappello, il cane ai suoi piedi) nel pomeriggio lascia la chiesa. Suona la banda, si fa questua casa per casa
(oltre ventimila euro, raccolti alla fine, la devozione di un paese di
cinquecento abitanti), escono le cente dalla
chiesa. Riconosco alcuni degli uomini della Cima: portano a spalla il Santo. La
banda segue la statua per stradelli stretti. Alle finestre drappi color porpora
dedicati a San Cipriano, patrono del paese, e San Rocco.
Va raccontata la storia delle cente.
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L'attesa della processione |
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La preparazione delle cente |
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La preparazione delle cente |
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La preparazione delle cente |
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La preparazione delle cente |
In una cappella che
non appare tale (negli anni deve essere stata anche abitazione) un piccolo
gruppo di donne sta preparando una centa. Annoto: sono necessari quindici chili
di candele.
Centa comunitaria. So
che quest’anno, in altre case, si stanno preparando altre due cente. Ricordo
che Angelo, ad Accettura, mi spiegò che erano ‘macchine votive’. Ho visto foto antiche di
cente. Sono celebri quelle di Avigliano e di Viggiano. Sono strane costruzioni.
Un amico mi disse che assomigliano a torte nuziali. Sono castelli di candele.
Donne (e uomini) le portano in testa durante le processioni ai santi patronali.
Pesano almeno venti chili. Costa molto costruire una centa. Non so da cosa
derivi il suo nome. ‘Un tempo erano un atto di devozione e donazione: le
candele, quando smontavamo la centa, venivano donate alla chiesa’, mi spiega
Saveria.
Le donne discutono
sulle tecniche di costruzione. Felicetta è
esperta. Stringono lacci e cordini. Altre donne si incuriosiscono: ‘Non ho
mai visto come si costruisce una centa’. Fuori diventa sera. Tempo di cena. Gli
uomini vengono a protestare bonariamente. Ci sono stati anni, in cui nessuno
più costruiva queste ‘macchine votive’. ‘Nove anni fa le donne decisero di
mettersi assieme per fabbricarne una’, ricorda Saveria. La centa oggi è la
fatica della devozione. A volte, la gratitudine per una grazia. ‘E’ gioia’, dice
Saveria. E poi dice ancora: ‘E’ traguardare’. ‘Guardare oltre’. La centa è agghindata con fiori, nastri, stoffe ricamate.
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L'uscita delle cente dalla chiesa |
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La processione |
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San Rocco |
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La processione. Don Anthony e sindaco in testa |
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Le cente |
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La banda di Valle del Diano |
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L'arrivo in piazza |
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San Rocco |
La processione sfila per l’anello del paese vecchio. Le mani
si protendono verso il Santo. Lasciano offerte nella cassetta. Sindaco e don Anthony in testa. Ci si ferma nella piazza. Si risale verso il paese nuovo. Si
torna indietro, ci si arrampica nuovamente verso la chiesa. Cammino in salita. Il cielo si fa di
cobalto. La statua di Padre Pio attende il ritorno del Santo. L’uomo dei fuochi
(andato via da Oliveto Lucano quaranta anni fa, ha un negozio di gelati nelle
Marchi e sa di pirotecnica) ha preparato un’accoglienza di esplosioni per la
processione.
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Padre Pio e i fuochi |
Oliveto Lucano, 11
agosto
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