lunedì 23 aprile 2012

Zeri/Le Signore degli Agnelli





Al mattino, al bar di Lina, a Coloretta, si fermano gli uomini. Stanno quasi in cerchio. Allungati sulle sedie. Le mani in tasca. Abiti pesanti. Maglioni. Giornata di lavoro davanti. Entro e mi sento gli sguardi addosso. Rompo il silenzio. Il brigadiere, senza divisa, mi offre caffè e schiacciata (che qui, alla genovese, chiamano focaccia). La sola donna, Lina, è dietro al banco. 

Valentina


Ma poi Valentina, 32 anni, donna-pastore, mi dice: ‘La nostra società è matriarcale’. Sono andato a trovarla nella stanzetta caseificio infrattata nel labirinto di vicoli del paese di Noce. Ha ragione, Valentina. Gli uomini, in queste vallate zerasche, alta Lunigiana, Toscana di frontiera, vanno a lavorare. Lontano. A Pontremoli, a Spezia, a Genova. I più fortunati tornano al paese solo a sera. A casa, in montagna, rimangono le donne. Sono loro a star dietro agli animali. Alle mucche, ai cavalli. Ai greggi delle pecore zerasche. Rese celebri, dodici anni fa, da Slow Food. Per questo le donne delle valli, giovani e toste, sono diventate ‘le signore degli agnelli’. Fu Davide Paolini, giornalista del Sole 24 Ore a trovare questo ‘logo’ intrigante. Il giornale della Confindustria e le donne-pastore dell’Appennino più lontano: strana alleanza mediatica.

Cinzia


Al mio primo giorno fra le valli, Cinzia, 42 anni (in lei Paolo Rumiz, viaggiatore di ‘Repubblica’, vide una ‘morbidezza ciociara’), mi costringe (felicemente) a un continuo saliscendi per una scarpata. Un capretto è scomparso. La madre bela disperata. Deve essere nato nella notte, ma non si è attaccato alle tette. Forse la capra lo ha nascosto in un rovo. Non lo troviamo. Saliamo e scendiamo per quasi tre ore. La voce di Cinzia si incrina. So che è tornata su nel pomeriggio. Da casa scruta la collina con il cannocchiale.

Anche gli occhi di Valentina sono affranti. Non si trova un agnello. A sera non è tornato alla stalla. Non si dà pace. L’ha cercato nella notte. Il gregge ha saltato un recinto e lui si è perso. E’ piccolo, non può stare fuori due notti. Non è stato facile parlare con Valentina: una mattina era alle prese con il parto di una mucca, il giorno dopo la sua schiena ha ceduto per la fatica delle ricerche notturne. Le sue parole tornano di continuo sull’agnello perduto.

Patrizia


Patrizia, 39 anni, invece, mi regala un’emozione: corre sua madre, l’avverte che la pecora sta per partorire. Andiamo di corsa. E’ il primo parto dell’animale. Patrizia l’aiuta, la incoraggia, vorrebbe che si stendesse: l’agnello è messo bene, la nascita è improvvisa, scalpita fuori in una bolla di sangue. La pecora quasi se ne disinteressa, ma poi Patrizia le avvicina il figlio e lei lo lecca con cura. Patrizia è in piedi dall’alba. E la sua giornata è ancora lunga. Lunghissima. Finirà a tarda notte.

Il nuovo agnello


Cinzia aveva studiato come restauratrice. Liceo artistico. Lontano dalle sue montagne. Poi i solventi minarono la sua salute e le montagne divennero qualcosa di più che un rifugio. Anche Patrizia voleva avere a che fare con l’arte. Poi ha fatto ragioneria, giù a Pontremoli, ma non appena tornava a casa correva, con il padre, in mezzo alle pecore. Valentina a venti anni aveva già una figlia, un marito in ferrovia e un lavoro da un marmista a Pontremoli. I nonni volevano vendere il gregge. E lei ha deciso di tornare in montagna. Avrebbe fatto la pastora. I suoi greggi stanno nel bosco. Nelle montagne più alte di Zeri.

Sono belle, le Signore degli Agnelli.
Zeri, 16 aprile

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