Anni fa, al campo del lago di Gabroun |
Conosco i luoghi della ribellione. Conosco le strade di Bengasi, i terminali di Ras Lanuf, lo squallore di Ajdabiya. So dell'ostilità della gente della Cirenaica a Gheddafi. Non ne parlavano, ma i loro silenzi erano sempre stati espliciti. Ho visto un vecchio, dallo zuccotto rosso, chinarsi sulla tomba di un Senussi, famiglia del re spodestato quarantadue anni fa. Da qualche tempo, dopo anni di viaggi in Libia, dopo averci scritto sopra una guida (con i suoi non-detti), si cominciavano ad ascoltare confidenze, insofferenze, irritazioni. Ma anche reticenze, paure, piccoli egoismi per non smarrire i privilegi.
Facevano di peggio governanti e business-man dell'Occidente. Tutti in fila, attese di ore, di fronte alla tenda del rais. La Libia era un bel suol d'affari. Nessuno, appena un mese fa, avrebbe previsto lo sfacelo dei campi di battaglia nel golfo della Sirte. Nè le potenti intelligence di Italia o Stati Uniti, nè gli gnomi saccenti ed elusivi delle grandi compagnie petrolifere (vero Eni?), nè i tycoon, assetati di soldi, delle imprese di costruzioni o i venditori di armi. Il potere di Ghedafi appariva inossidabile. Al più si sperava in Seif al-Islam, il figlio ragionevole. Il dubbio era che i due uomini giocassero al 'poliziotto buono-poliziotto cattivo'. La finzione, arte praticata da queste e altre parti, è saltata alle prime ribellioni. Seif è diventato sul serio 'la spada' feroce di un clan in lotta per la sua sopravvivenza.
Ma ora serve raccontare tutto questo?
Non so cosa accadrà nelle prossime ore. Il giocattolo si è rotto e il mondo, in questo nordafrica, non sarà uguale al prima. Non potevamo, come abbiamo fatto mille altre volte, assistere a una vendetta, a una carneficina. Già successo troppe volte in nome della real-politik o di un pacifismo rassicurante a casa proprio e incapace di fare i conti con la realtà. Non so cosa accadrà, ma quei pick-up con le mitragliatrici dovevano essere fermati.
San Casciano, 19 marzo
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