Sulla strada di Axum |
Il bambino zampetta deciso. Quattro anni? Forse cinque. Scampato alla mortalità infantile di questa terra. Ci sono buone probabilità di farcela. Impolverato, una maglietta lunga fino al ginocchio, piedi scalzi, testa rasata. La pelle bianca è una calamita e lui è scattato senza esitazione. Mano tesa. Parole a memoria: ‘Give me school pen’. Adocchia le mie due penne nel taschino. Scintillano. Conosce i ‘luoghi’ delle penne, il ragazzino.
‘Give me school pen’. Insiste senza stancarsi. Quasi una trance. Non accelero il mio passo. Camminiamo affiancati per dieci minuti buoni. A volte azzardo un ‘no’. In genere sto zitto, lo guardo come stupito, scuoto la testa e tengo gli occhi bassi o verso il cielo. Ritualità. Né io, uomo bianco, né lui, bambino nero, ci stanchiamo. Siamo abituati. ‘Give me school pen’. Quanto ci metterò ad attraversare questa immenso spiazza di polvere che si slarga davanti al parco delle stele di Axum? Il ragazzino sembra deciso a non mollarmi. Il guardiano all’entrata del parco sarà la mia salvezza. Devo salvarmi?
I bambini hanno appreso, per dna, per tradizione, per abitudine, che gli uomini bianchi danno le penne. Un tempo, anche qui in Etiopia, correvano gridando fin da lontano: ‘Bic, bic, bic’. Da qualche anno le Bic devono essere scomparse, almeno nell’Africa non francofona. E allora i bambini imparano altre lingue. Non sanno perché i bianchi danno le penne, ma sanno che le regalano più volentieri di altri oggetti. E allora si chiede quel che si può ottenere. Soddisfa il buon cuore dei bianchi. Pensiamo di essere utili a qualcosa. Noi che cacceremo ogni immigrato dal nostro pianerottolo, in Africa diventiamo generosi.
Non serve per la scuola, la penna. E’ un trofeo. Si può scambiare con altri oggetti. Forse si può perfino vendere. Si può esibire come una conquista. Come uno scalpo. Ho visto un bambino, ottenuta la sua preda senza troppa fatica, girarsi con un sorriso di trionfo verso i suoi amici. Subito dopo, si sono azzuffati senza pietà. Chi ha insegnato una frase complessa come 'give me school pen'? Un maestro furbetto? Un genitore esperto? Un fratello più grande?
Ho visto bianchi israeliani grandi e grossi girare con pacchi di penne: le donavano una per una per una a vecchi seduti davanti ai loro cammelli. I guerrieri israeliani, così feroci nelle loro terre, sorridevano come crocerossine. E il vecchio tigrino, stanco del suo viaggio, si chiedeva, senza chiedersi, le ragioni di quel dono. Solo perché loro erano neri? E i bianchi donano penne? I vecchi non scrivono, non hanno bisogno di penne. Ma i bianchi sono certi che servano per la scuola. E cosa c’è di più ‘giusto’ di una scuola in Africa?
L’Africa deve essere piena di penne lasciate dai bianchi.
Spesso le richieste si diversificano: in Etiopia, qualcuno, goloso, chiede caramella (mi ricordo un afar dalla faccia spigolosa sussurrarlo mentre la saliva del piacere gli usciva dalla bocca). In Malawi si prega, con sguardo implorante, che sia concesso uno sweety. In Mali, si azzarda: bonbon. Un sapore negato ai palati dei bambini africani. La dolcezza del dolce. Ad Asso-Bole, paese solitario alla fine del canyon del fiume Saba, cediamo anche noi: allunghiamo una manciata di caramelle a Mussa, del resto la sua mamma ci ha offerto il thè. E' una ricompensa. Il bambino, sta appena in piedi, allunga la mano e le afferra tutte. Non riesce a scartarle.
Ad Alitena, ai confini fra Etiopia ed Eritrea, rimango io imbambolato, la bambina mi ha spiazzato. Chiede sillabando le parole: cioccolata. Penso: cavolo, questa è un genio. Questa avrebbe possibilità su possibilità se solo fosse nata in luogo meno sfigato. Questa è terra di cattolici, stai a vedere che i preti distribuiscono cioccolata. E lei, una volta, ha assaporato un gusto delizioso che non si può dimenticare. La parola che dice di questo dono degli dei deve esserle rimasta impressa nella testa, negli occhi, nel palato, nel cuore.
In Etiopia, i bambini imparano, fin dai giorni della culla che non hanno, la parola money. Ben prima di mamma. Se va male con la penna, si tenta l’impresa impossibile: money, money.
Axum, 6 marzo
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