martedì 8 ottobre 2013

Il Vajont è un torrente di 14 chilometri....


La diga del Vajont


(Foto di Vittore Buzzi)

Alle 22.39 del 9 ottobre del 1963 arriva l’onda. Era alta oltre cento metri. Dal monte Toc si è staccata una frana di 260 milioni di metri cubi di fango e rocce. Precipita nel lago artificiale creato da una diga che aveva appena tre anni di vita. La diga tiene, ma l’onda la scavalca e cinquanta milioni di metri cubi di acqua piombano su Rivalta, Longarone, Pirago, Faè e Villanova. Nessuna sa, con esattezza, quanti siano stati i morti: 1909? 1918? 1994? Solo 726 corpi sono stati riconosciuti. 426 bambini sono fra le vittime. Mi dicono che, all’ingresso, del sacrario, sta scritto:‘Prima il fragore dell’onda. Poi il silenzio della morte. Mai l’oblio della memoria’.

Lo sconosciuto libro di una coraggiosa giornalista, Tina Merlin. Lo sconosciuto libro di una fotografa, Lucia Vastano. Le parole di Marco Paolini. Ci hanno aiutato a non dimenticare. So che domani i giornali e la televisione ricorderanno. Come vorrei che fosse fatta anche giustizia. Si sono svolti processi. Condanne lievi. Un imputato si suicidò.


Gli orologi recuperati dopo l'onda. Fermi sull'ora della strage




Indro Montanelli, Giorgio Bocca e Dino Buzzati scrissero, invece, che questa tragedia era colpa della Natura. Giampaolo Pansa provò a scrivere, fin da subito, che quella diga si trovava sotto un monte che si sfaldava. Lo scrisse a istinto. Ascoltando qualcuno a Belluno.

Vajont vuol dire ‘viene giù’. Toc, in friulano, sta per ‘marcio’. Bisogna dare ascolto alla saggezza della gente della montagna. La strage del Vajont è stata colpa dell’avidità di alcuni uomini. C’erano troppi soldi in gioco.

Ha ragione Erri De Luca: questa storia può ripetersi…

Mi ha colpito che un fotografo milanese, Vittore Buzzi, in questi giorni, non riesca a togliersi dalla testa questo dramma accaduto mezzo secolo fa. Vittore ha 45 anni. Non era nato quando quell’ondata travolse una valle. Gli ho chiesto perché questa ‘sentire’ così forte.


Cimitero di Fortogna


‘Scrivo, scrivo per disperazione, scrivo per non dimenticare…

‘Cosa ti spinge a spenderti per una strage (perché di quello si è trattato) che è accaduta quando non eri ancora nato? Cos’è che ti costringe a parlarne, a non farne a meno?’, gli occhi di Andrea mi fissano tra l’interrogativo e il malinconico…

E’ vero perché mi sento di DOVERE qualcosa a tutti quei morti? Perché mi sento di dovere qualcosa ai superstiti? A quelli che non hanno mai smesso di parlarne?

La verità è che la tragedia del Vajont ha colpito due volte. La prima in cui assieme alla cupidigia e al profitto c’era (anche se in piccola percentuale) l’ignoranza, la stupidità, l’indolenza si è conclusa in poco meno di cinque minuti il 9 ottobre 1963 alle 22.39 … La seconda è stata inaugurata il giorno dopo la tragedia ed è continuata con la ricostruzione e questa volta non c’è stata alcuna attenuante, ed è durata e dura fino a oggi.

Devo allora a chi ha saputo non cedere alla rabbia, al comitato sopravvissuti a Tina Merlin, Marco Paolini a Lucia Vastano e a molti altri la capacità di tramandare la memoria…

Io mi sarei arreso al dolore, mi sarei arreso a una furia cieca, avrei perso la ragione e la mia dignità di uomo e avrei seguito la strada più facile… occhio per occhio…

Tutti noi dovremmo raccontare ai nostri figli quello che è successo perché questo non accada più…

Parole al vento… Vento che porta il ferro dell’Ilva, la polvere d’amianto e tante altre morti in nome del profitto…



(Vittore Buzzi)

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