domenica 17 marzo 2013

Diario di un viaggio imprevisto 7./Il basilico di Richard


Il basilico per Richard
Al pontile di Trellis, scalcinato e corroso dal mare, attracco dei ferry privati per i resort più celebri, ci sono gli scatoloni per Necker, l’isola di Richard Branson: cibo per gli ospiti, cibo per lo staff. Il basilico per Richard viene dalla Florida.

Le sculture di Andragon

Ferry per Scrub Island. Isola privata di compagnia americana. Chissà come scelgono i propri lavoratori? Hanno caratteristiche comuni e diverse da resort a resort. In questo isolotto, sette minuti di ferry da Trellis, hanno l’aria tosta. Muscoli possenti. Clima da duri. Hanno un fare che ha un che di minaccioso quando spostano valige e parabordi. Se solo sorridessero avrebbero la simpatia dei giocatori di rugby. Solo che non sorridono. Le braccia del general manager sono il doppio delle mie. E’ uno zimbabweano bianco, venuto via dall’ex-Rhodesia proprio mentre Bob Marley cantava per l’indipendenza del nuovo paese africano. Paradosso della storia: oggi un bel po’ degli uomini che lavorano per lui sono rasta. Mai tornato in Zimbabwe. Ex-giocatore di rugby professionista, appunto. A bordo del ferry c’è una donna cicciona che parla in spagnolo con il figlio. Una bionda americana con occhiali impenetrabili. Un tipo in giacchetta, camicia bianca e cravatta rosa che sembra fuoriluogo. Un prete? Il contabile? Chiedo: è il tecnico dei computer. Sudafricano. Ci sono anche due lavoratrici del resort con borsetta nera sulle ginocchia.

Appena sbarca in un posto, non si guarda nemmeno attorno. Chiede la password.

Davide

Sì, di Davide, devo dirvi. 59 anni. Di Firenze. Non avevo fatto caso al suo cognome. Suo fratello è stato giornalista dell’Unità e addetto stampa del presidente della Regione Toscana. Abbiamo lavorato assieme. Suo padre è stato un intellettuale della sinistra italiana. L’altro suo fratello, se non sbaglio, è consigliere comunale a Firenze. E lui? Fotografo fino a ventotto anni fa. Fotografo di moda a New York. Roba seria. Poi, la scoperta della cucina. Ora è cuoco celebre delle isole Vergini. Possiede un ristorante a Tortola. Abita una case splendida, senza pareti, aperta ai venti e al sole, nel luogo più solitario di Scrub Island. Due orecchini, capelli brizzolati fluenti, moglie australiana conosciuta in barca. Sorriso da Caribe. Mi spiega: ‘Qui si vive benissimo. Non c’è Berlusconi e si pagano poche tasse’. Prendo appunti. Non credo di averlo convinto a tenermi qui. Ha capito subito di me. Voglio rimanere qui? Sì, ora sì. Sì, qui. Per un tempo che non può essere definito. Qui, nella tua casa si offre al vento, ma so già che non darà pace. Non è pace, quella che cerco. E’ vita, ma qui potrebbe esserci una sospensione. La bellezza può aiutare? Sì, credo che la bellezza possa aiutare. Non lenisce il dolore, ma il mare, come il fuoco, distrae. Per un po’. Almeno per un po’.

Buyers di Miami spediscono il pesce per l’isole dove ben pochi pescano. E poi, mi spiegano i cuochi, aragoste a parte, le acque tropicali non danno un buon gusto al pesce. Le cernie arrivano via Fedex.

Attenzione ai dettagli: i coltelli sono un design della Porsche. E stanno in equilibrio sulla lama. Credo di sentirmi un po’ imbecille, qui.

E noi che siamo stati lontani da qui nei giorni di luna piena

 Cuochi dall’Italia, dall’Inghilterra, dalla Francia. Ma la cucina non interessa gli isolani?

‘Noi vendiamo avventura’, mi dice un ragazzo, dall’aria da duro.

Il tassista che non voleva farsi fotografare

La storia delle tasse. Se ho ben capito, qui non si è tassati a seconda di quanto si guadagna. Sono i dipendenti, il parametro. 8% a lavoratore. Più il 6% a carico del dipendente. Sarà così? Mi appare scombiccherato e mica tanto giusto. La giustizia è categoria incomprensibile in queste isole. Un resort ha duecento dipendenti. Un off-shore ha un nominee director, un fiduciario che presta il suo nome a capitale cinesi o italiani, un paio avvocati per cavarsela nel garbuglio delle legislazioni internazionale e due segretarie. Niente di più.

I servizi sociali funzionano. Scuole diffuse, buona sanità, pensione a 65 anni. What do you want more?

Benvenuto a Scrub Island

Bevo rum, vini francesi, un rosso sudafricano che è una cosa strana e buonissima. Mangio anguria arrostita, capesante con maialino, salmone affumicato avvolto attorno a un cucuncio salatissimo. Dove sono? In camera non riesco a spengere le luci, a spengere il frigorifero, a spengere l’aria condizionata. Non so con chi, né come usare una jacuzzi a due posti. Però, dopo uno studio attento, riesco ad aprire le finestre e a dormire sul balcone. Lontano dal ventilatore.

Scrub Island

Ce ne andiamo. Nella notte. Che sarebbe quasi l’alba. Su un mare tranquillo. Stelle nel cielo. Luci delle barche. Il pilota è bravo a prendere le onde leggere. Brezza del Caribe. Ce ne andiamo. E non capisco. Lascio che sia. Cerco una sensazione. Avverto una vertigine.

Parlo con una ragazza con padre italiano, madre filippina e vita ai Caraibi. Guardo le onde di un celeste splendente. Ultime parole. Fine. Ancora la vertigine che fruga nella mia pancia.

Adios

‘Lei è sempre così triste?’ Cosa rispondo a questa domanda?
Adios Caribe, 8 di marzo 

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