sabato 4 gennaio 2014

L'ostaria è un teatro



(versione integrale di un articolo apparso sul numero 5 di Erodoto108) 


Questo non sarà solo un breve articolo. E’ un innamoramento improvviso. E come ogni colpo di fulmine non rispetta alcuna regola. Tutto è accaduto perché mai, fra una leggera nebbia autunnale, nella piana malinconica della Riviera del Brenta (per me, toscano, un mondo senza colline non è nemmeno immaginabile), a fianco del fosso delle Donne (dove si parcheggia, scivolandoci dentro, quando si è ubriachi)…ecco, ho perso il filo. 

Ricomincio. Allora: mai avrei immaginato di trovare qui, in una osteria (una ostaria, in realtà) del profondo Nord-Est, un manifesto con su Totò (che era napoletano del rione Sanità) accanto alla bellezza da lacrime di Tina Modotti (donna messicana che, in fondo, era nata a Udine).  Entro e nell’osteria e i due volti spiccano come stelle sul perlinato che ancora protegge, come nei tempi antichi, le pareti di questo locale. E’ bastata questa visione a sbigottirmi e a far battere il mio cuore. Amore a prima vista. Così ho mandato a rane tutti i miei pregiudizi sul Nord-Est e vi racconto dell’Ostaria dei Kankari. Che poi, da queste parti, sono gli ubriachi.

Totò e Tina mi hanno distratto. E così non vi ho detto della bandiera No-Tav che sventola dal balcone sopra l’ingresso dell’osteria. E nemmeno della scritta, un po’ nascosta, che, da sempre, sta affissa sopra la porta: Foresto ricorda: in sto locale i osti gà ea mare putana. Bisogno di traduzione? No, non credo. Se così non è, inventatevi il vostro significato.
Arredo spartano, una ventina di tavoli in due stanze, dove sono riusciti a fare entrare perfino un piccolo palcoscenico per musiche e spettacoli. E, naturalmente, un bancone da bacaro con sopra la delizia di cento spunceti, leccorniose tapas veneziane. In estate, si mangia all’aperto e dentro si gioca a biliardino.
Entri qui dentro e subito scopri che, oltre al vino e a birre eccellenti, hanno anche la spuma. Anzi: ‘E’ tornata la spuma’, annuncia, con orgoglio, un manifesto. E un altro cartello colorato invita ad assaggiare la pasta, pasta kankara, ovviamente. ‘Leggermente piccante. Appetitosa. Afrodisiaca. Per l’appetito di chi sa amare’. Ecco, sono arrivato a casa.




Non è semplice, per chi non è di queste parti, raggiungere l’ostaria. Non sta mica in paese. E’ imbrecanata in questa piana dove, nei mesi dell’inverno, si stende la nebbia del Nord-Est. Non so dirvi dove sia. Dalle parti di Mira, un paesone, quarantamila abitanti, dalla storia operaia (ricordate la Mira Lanza?), persa in un cruciverba di fossi, argini di canali, pioppeti, rotonde, e case sparse. La troverete, non preoccupatevi. Questo locale passa per essere il più bohèmienne della Riviera del Brenta e, in certi giorni, proprio quando la nebbia è più fitta, si viene qui (e vengono tutti) a cercare conforto alla malinconia e mettere assieme briciole di gioia. Si vezzeggiano un poco all’ostaria. Descrivono così i loro amici-clienti: ‘filosofi (falliti), musicisti (falliti), illustratori (falliti), giornalisti (falliti)’. E infine: ‘metalmeccanici e figli di troia (questi ultimi invece riuscitissimi), tutti allegramente seduti agli stessi tavoli uniti’. Sì, sono arrivato a casa.

Fra l’altro, questo luogo ha storia: l’ostaria c’è da sempre. Un tempo era il bar Sprint. Per anni e anni è stata conosciuta come Checco, il cancaro, luogo da leggenda del Nord-Est, quelle che racconta Marco Paolini. E qui veniva Paolino, che, alle nove del mattino, già si aggrappava al bancone per bersi due ombre. Mezzo vino e mezza acqua, perché il dottore gli aveva detto di dimezzare le sue dosi quotidiane. Tenete presente che, a Mira, il mezzo bicchiere, da allora, è conosciuto come Paolino. Qui, attorno a questi tavoli, si riuniva anche la sinistra ostinata a sopravvivere in un Veneto democristiano. Baluardo rosso. Gli operai della Mira Lanza e i contadini dei campi di mais passavano qui il loro tempo liberato e perduto.  Adesso sta qui la gente che intuisce che la bandiera bianca dei No-Tav rappresenta qualcosa di più che una battaglia contro un treno.

Moira


Adesso tocca ai personaggi e interpreti. Ho conosciuto Moira, 38 anni, a una tranquilla semina di granoturco in un campo su cui vogliono costruire un centro commerciale. Stava lì a suonare una immensa fisarmonica e a cucinare salsicce e polenta. Vi erano ragioni a sufficienza per conoscerla meglio. E’ così che ho scoperto che fa l’ostessa. Da quindici anni. Lasciò il teatro e il pianoforte per amore di un ragazzo che voleva fare l’oste. Ma poi lui se ne andò, lasciando solo lei dietro al bancone.  Anni duri, immagino. Ma l’attrice imparò a cucinare, a passare il tempo con Paolino che fumava quattro pacchetti di sigarette al giorno e andava avanti a mezze ombre. Pagò debiti su debiti. E alla fine decise: ‘Se io non posso andare in giro a fare teatro, porto qui il teatro’. E l’ostaria divenne palcoscenico per uno spettacolo ogni sera. Un luogo da favole. Non so quanto dorma Moira. Piccola, rotonda, occhi che scintillano di meraviglia, un sorriso che dà felicità, lei è cuoca, fisarmonicista, suona il pianoforte e ora sta ritrovando anche il modo di tornare a fare teatro. Di sé fa scrivere: è il perfetto caso delle ‘braccia tolte alla cultura, e donate alla viticoltura’. Mica vero: la cucina di Moira è leggenda popolare e tutti noi seguiamo ballando lei che cammina con la fisarmonica in mano. E’ vera cultura, questa ostessa.

Marco è quello con la barba
Poi c’è Marco. Compagno di Moira. Barba, pochi capelli, sorriso gentile, parole sommesse. Cultore profondo di birre in terra di vini bianchi. Segno cancaro, e quindi predestinato. Tranquillo, pacioso, attento. Quasi un maestro di sala mentre raccoglie ordini ai tavoli. In più suona, canta e ha una chiacchiera per tutti coloro che qua entrano.

Musica in osteria

Mi dicono di Juri. Non c’era quando io sono venuto qua. Cameriere tutto fare. ‘Faceva parte dell’arredamento quando mi sono ritrovata qua dentro’, ricorda Moira. Quindi copio, e mi fido, quanto scrivono di lui: ‘Leggenda delle leggende: racchiude in se stesso il gatto con gli stivali, il gobbo di Notre Dame, Gianni e Pinotto (tutti e due insieme, come se Pinotto avesse mangiato Gianni), il mago Galbusera, Paolo Rossi (tutti e due, come se l’attore avesse mangiato il calciatore) e soprattutto Batman e Robin’. Come se Batman avesse mangiato Robin. Ho un’ottima ragione per smarrirmi nuovamente alla ricerca di questa osteria: bisogna conoscere Juri.

Altre buone ragioni: qui si va alla riscoperta della memoria di un popolo. Delle feste. La luna peosa, a ottobre, a esempio: se coperta di vapori e nebbia, sarà anno da ricordare. O il capodanno contadino, a marzo, con tanto di gemellaggio con Tiggiano, paese della Puglia, dove si compie lo stesso rito dimenticato. Si va di casale in casale a festeggiare i contadini. E poi qui si celebra anche sant’Ippazio, E, giorno importante, si viene all’ostaria, la notte di Natale. Dopo la messa, si passano le ore notturne della festa santa assieme a Moira.

Il menù


Alla fine quasi mi dimentico il cibo. Che è roba da leccarsi i baffi. Cibo a chilometro zero. Viene dall’orto (hanno anche il tempo per l’orto!). Cavoli e verze in inverno. Perfino cavolo nero in Veneto, una rarità. Con pancetta. E poi polenta e salsicce. Pasta. Ma quando mi sono seduto al tavolo, ho assaggiato il bufalino (e c’era anche l’asino). Povere bestie (attenzione: menu per vegetariani e perfino per vegani, non preoccupatevi), ma questa carne arriva dal microallevamento di un contadino che sta a meno di mezzo chilometro da qui e che stava per fallire perché cacciato via dal mercato del latte quando ha deciso di allevarli, i bufali.

Ecco, Marco ora scrive il menù con una grafia quasi invisibile da amanuense. Si siede al tavolo con noi e, chiacchierando, consiglia e suggerisce. Il racconto dei cibi è già spettacolo. Sì bisogna avere tempo, all’ostaria dei Kankari. Ed è un bel tempo.

Ostaria dai Kankari, Via Fossa Donna, 93, Marano di Mira (Venezia); Tel. 041.479594;http://kankari.it/; e-mail: ostariadaikankari@gmail.com . Gli osti avvertono: la controlliamo ogni giorno di San Mai. Giorni e orari di apertura: Lunedì: 11.45 – 14.45 / 19.00 – 2.00; da mercoledì a sabato: 19.00 – 2.00. Domenica: 17.00 – 2.00;  Riposo settimana: martedì.




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