mercoledì 1 dicembre 2010

E ora che un aereo (lo stesso aereo, quasi gli stessi passeggeri, sicuramente lo stesso cane con una macchia nera sull’occhio che era sul volo dell’andata) mi ha riportato a casa?
Non si può trasformare un blog in un diario in pubblico. Non ho dimestichezza con questo strumento per capire bene cosa sia un blog. Sono un migrante della tecnologia. La diversità di un viaggio ha aiutato il racconto. Dal moleskine a un Acer One. Il racconto che cerca di trasformarsi in uno strano giornalismo. Autoreferenziale? Non so: il tentativo, sulle Ande, è stato il narrare quanto inevitabilmente accade in una terra diversa, in un viaggio, in un andare. Però basta aprire una finestra di casa, qui, in Italia, per vedere quante cose accadono anche qui. Quante storie, ora che ho fatto in tempo a vedere Fazio e Saviano raccontare, ci sono in questo paese. Sotto i nostri occhi. Banale, ma non così banale, scoprirlo ancora una volta.
Ma è possibile fare il giornalista senza un giornale?

E allora, adesso, notte fonda, ghiaccio al posto della prorompente primavera argentina, seguo la scia che lascia quella terra. Arrivo a casa che è buio. Niente luna. Abito in campagna. Funziona la luce crepuscolare, almeno una luce è accesa. Guardo i cancelli che serrano le case accanto alla mia. Cancelli chiusi. Ho un pensiero: sono venuto a vivere qui oltre venti anni fa. Mia figlia stava per nascere. Allora davanti a casa c’era una coppia di vecchi contadini, in altre due case abitavano altre coppie di cui siamo diventati amici (spesso cenavamo assieme, eravamo di continuo uno dall’altro). Non c’erano cancelli. Mia figlia ha vissuto i suoi primi anni di vita vagando di casa in casa. A volte la trovavamo sulle ginocchia dei due contadini. Andava anche a spasso sul trattore dello Zani.
I due vecchi non ci sono più, la loro casa è stata venduta, anche gli amici se ne sono andati per altre strade, e ora mi rendo conto che quasi non conosco i miei vicini. Ognuno vive oltre i propri cancelli. Per questo mi è tornata in mente Agua de Oro, il mio paese in Argentina. Il paese dove c’è la casa di Lucio y Gladys. Ho pensato che quando abbiamo cominciato il viaggio verso il Nord del paese, Lucio y Gladys hanno affidato la loro casa e i loro due cani ai vicini. C’è stata una cena di saluto, una promessa di racconti, una bella serata. C’erano tutti. A tirar tardi, a voler sapere del viaggio, a festeggiare il compleanno di Lucio, a voler incontrare gli amici stranieri. Ho intuito che c’era una comunità in quella strada di Agua de Oro. L’incontrarsi per un mate, per una chiacchiera, per un aiuto (nell’orto, in casa, per la lavatrice rotta…).
Questa comunità, anche nelle mie campagne, negli ultimi vent’anni, si è perduta. Questa è una ragione per andare via. Per tornare là dove esiste ancora un senso di umanità fra le persone e dove si vive bene se di poco ci si accontenta. Questa è una ragione per rimanere qua: per ricostruire un nuovo modo di stare assieme.

Si può scrivere questo su un blog. O è già un diario in pubblico?
San Casciano in Val di Pesa, 30 novembre

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