sabato 25 maggio 2013

Marco Aime & Francesco Guccini/ 'Cinque anatre in volo verso Sud'





Hanno la stessa stazza. Alti e pesanti. Marco, 57 anni, antropologo di culto, e Francesco, 73 anni, cantante, poeta e scrittore. Francesco è capace di lasciare la sua malinconia immusonita nel wine-bar di piazza del Duomo di Pistoia e dona ironie, nostalgie e storie alle mille persone che si affollano nel tendone bianco montato a fianco della cattedrale. Marco, felice come non mai, si gode la chiacchierata con quel cantautore che è stato (ed è ancora) la colonna sonora della sua vita. Anno 1971, Marco convinse un gruppo di amici a farsi chilometri a piedi pur di ascoltare quel cantautore di cui conosceva una sola canzone, Incontro. Anno 2013, sera piovosa di una primavera che non vuole essere tale, avviene davvero questo incontro ai ‘Dialoghi sull’uomo’, storie di antropologie attorno al viaggio.





Viaggiatore immobile come Salgari, Francesco? Confessa: ha visto il mare a 12 anni (gita della parrocchia di Pavana al santuario genovese della Madonna della Guardia), è salito su un aereo a trent’anni (la sua America, mito che, dopo quel viaggio, quasi si infranse, fino a dissolversi poi nella guerra del Viet-nam), è stato quattro volte a Barcellona e due a Cabo de Roca, in Portogallo, il punto più occidentale d’Europa (già, la bambina portoghese). Andò a Roma solo a 31 anni. A Milano a 26. E’ stato anche in Argentina e, in molti, abbiamo pianto, con il tango di quella canzone sospesa. Francesco è generoso, ma smonta le nostre illusioni: solo ragioni metriche stanno dietro la Statale 17 (ma lui in autostop se ne è andato per mesi e mesi) a e la ragazza dell’autogrill non è mai esistita. E’ vero: doveva essere ‘bionda senza averne l’aria’ e non poteva che essere un miraggio di mestizia, un sogno impossibile. Francesco lascia un nichel di mancia e se ne va.


Marco afferra Amerigo, Cristoforo Colombo, Bob Dylan, Gulliver. Costringe Francesco, sempre diviso fra la pigrizia appenninica, il desiderio di tornarsene di corsa a Pavana (appena dietro le montagne) e la involontaria adrenalina di un palcoscenico dove raccontare sé stesso, a viaggiare sul serio. E lui lo fa: confessa che sta leggendo l’epopea urticante di Limonov, che ha invidiato Hugo Pratt e i marinai che hanno ‘scoperto’ le Americhe: ‘Quelli erano veri viaggiatori. Noi siamo turisti’.


Marco, con bravura, ricorda le parole che Francesco è stato capace di mettere nelle sue canzoni. Parole come ‘parietaria, policentro attrezzato comunale, anfesibena’…e di citare Roland Barthes, Shopenhauer e la Weltanschauung.




Io ho due pensieri: Guccini è vecchio (che Dio mi perdoni), ma continuo a immaginarlo su un piccolo palcoscenico di un teatro salesiano di Firenze (anch’io, Marco, ho la mia prima volta, nello stesso anno) con accanto un fiasco di vino. Sì, gli ‘eroi son tutti giovani e belli’: i ragazzi a Pistoia sembrano non accorgersi dei suoi anni e della stanchezza dei suoi occhi e lo adorano. Lo circondano d’affetto e entusiasmo e lui, spaventato, fugge a Pavana.


Alla fine, davvero, si mettono in volo le ‘cinque anatre’: vanno verso Sud, una dopo l’altra cadranno, non finiranno il loro viaggio. Solo una riuscirà ad arrivare: ‘Quel suo volo di certo vuol dire che bisognava volare’. Altre cinque anatre stanno ora per spiccare il loro volo. Che ci siano altre Thule. Che siano sempre le ultime. E anche le prime. (a.s.)

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