La Perla Nera |
Al mattino, prendo la macchina e vado al bar del paese. Arrivo verso le otto. Non è un granchè come bar. La televisione è sempre accesa su Canale 5, ma i giornali sul tavolo sono di sinistra. Le paste hanno un’aria da giorno prima. Prendo un budino, consigliato dalla barista, e il caffé.
Ogni mattina, seduta a un tavolinetto, c’è una donna dall’aria sfasciata. Con la figlia. Credo che sia la figlia. Penso che hanno passato una brutta notte. La madre è in tuta. A volte parla con voce di sigaretta. La figlia ha un colore bianco. Dopo un po’ si alza e va a prendere una corriera. Ci sono poi dei vecchi. Uno è senza gamba. Parlano di caccia o stanno zitti. Rivolti verso il bancone, la gambe larghe, seduti come se stessero sempre per alzarsi. Un uomo ha il berretto tirato fino a metà testa. Fa freddo al mattino. La ragazza del bar ha una felpa grigia e un anellino al naso. Sa sempre cosa vogliono i suoi clienti. A un certo punto gli uomini si mettono a giocare alle slot-machine. Il vecchio senza una gamba gioca, ogni mattina, venti euro. A volte c’è lo scroscio delle monete. Ma lui le rigioca tutte quante. Una per una. Più d’una assieme. In silenzio. Poi se ne va. Poi se ne vanno tutti. Poco prima delle nove, lo spettacolo del bar è finito. Si ripete ogni mattino. Da quando sono qui, è sempre accaduta la stessa scena. Un giorno c’è stata una variante: la ragazza del bar era nervosa, non riusciva a telefonare, e allora, con uno scatto di rabbia, ha gettato il telefono per terra. E poi non lo ha più guardato. Mi ha fatto il caffé, senza alzare gli occhi. Quando me ne sono andato ha detto: ‘Il telefono è lì’.
Ho pensato: anni fa, i vecchi di questo bar, operai della fabbrica, mezzadri spolpati, minatori senza denti, sarebbero seduti negli stessi posti. Ma con un bicchiere di vino davanti e le carte della briscola. Il cappello in testa. E qualche parola con voce arrabbiata a fare da colonna sonora. Oggi l’uomo senza una gamba, in silenzio, gioca la sua pensione con tre figure (ciliegie, denari, carta) mosse da una macchina.
Pago il mio conto. Dovrò raccontare altro quando mi toccherà scrivere di questo paese.
Non dico il posto. Perché io amo questo bar. E il suo budino. Se dicesse dove sono, si capirebbe quale è il bar e magari la ragazza con l’orecchino si arrabbierebbe ancor di più, 2 febbraio.
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