martedì 9 agosto 2011

Dominicana/Dona Ignacia


Dona Ignacia



Il vecchio baracone ha conosciuto la forza disperata dei picadores della canna da zucchero. Qui, a venti e più per stanzone, si sono ammassati per anni e anni gli haitiani che venivano trascinata a tagliar canna nei mesi della safra, della raccolta. Per decenni e decenni è stata schiavitù, lavoro forzato. 

Betaye 9, antico villaggio al centro delle piantagioni di canna dell’ingenio Barahona, lo zuccherificio che oggi appartiene ai guatemaltechi del Consorzio. Il baracone è al cento dell'insediamento. Gli stanzoni non hanno finestre. L’aria circola da sotto il tetto. La porta è socchiusa. Dietro, seduta su una sedia, unico mobile di questa ‘casa’, c’è dona Ignacia. Seduta e in silenzio. Gambe magre, mani appoggiate sui ginocchi. Occhi che raccontano solo di rassegnazione. Non aspetta, dona Ignacia. Guardo attorno senza voler guardare. Due stracci appesi a un chiodo. Un materasso lurido in un angolo. Una pietra impedisce alla porta di chiudersi. E’ sola, dona Ignacia. Sta lì. Incapace di protestare contro di me che mi inginocchio e scatto fotografie. Pensando che questa foto ‘racconta’. Racconta, cosa?

Esco piano, non faccio che un passo nello stanzone. Lo immagino pieno di neri stremati dalle ore infinite a tagliar canna. E ora c’è dona Ignacia, la sua sedia, il suo materasso. Un filo di voce. Chiede. Lascio dieci pesos. Venti centesimi di euro.
Sull’isola, 8 agosto


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