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Che la festa cominci
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Piove sulla festa. La primavera dei monti del sud-est della
Calabria fatica a scrollarsi di dosso l’inverno. Ci prova a strazzi. Gli uomini
lo sanno: hanno dietro le cerate e tengono il cappello in testa. Alzerebbero l’albero
anche se nevicasse. Protestano solo quelli della banda di Oriolo: ‘Con quel checostano gli strumenti, l’acqua li rovina’.
Alessandria del Carretto, paese di montagna a un passo dal
mare, continua a sorprendermi. Qualcuno si diverte a suonare la campana della
chiesa di san Vincenzo. Ma in realtà il lavoro comincia senza un preavviso, né
una parola. Come se tutti sapessero cosa fare. C’è chi solleva le pietre che
ricoprono la fossa dove l’albero, la
pita,
l’abete della festa, dovrà scivolare. Lavoro collettivo. Si fanno le cose con
sapere. Da un lato
zi’ Franco
costruisce la cassa dove l’albero dovrà incastrarsi. Lavori di falegnameria e
muratura. Sassi da togliere. C’è cura in questo fare.
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Si prepara l'innesto |
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L'innesto |
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Lavoro di fino |
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Dettagli |
Dall’altro lato dell’albero, appare la cima. La punta
dell’abete. Ha passato questi giorni in un magazzino. Ha una chioma bella e
folta. Insistono a non dirmi da dove l’hanno tagliata. Segreto di paese'. Ora viene
poggiata su un cavalletto. Si fatica assieme. Si aggiusta l’incastro che deve
accoglierla. Si lavora di sega e di accetta sulla punta della
pita. Gli uomini portano i
torti, rami di prugnolo selvatico che
diventano corde e funi che nessuno romperà mai. Filo di ferro per legare la
cima alla
pita. Poi i
torti diventano nodi. Si lavora di
trapano a mano. Il mandrino. Ha un nome in dialetto. Non lo ricordo. E’ il
sesso del maiale, se do fede a quanto mi dicono. Mi soccorre Adriano:
u virdalë.
Passa il vino, l’albero diventa tavola per fave, salame,
formaggio. Piove a dirotto. Spilli di freddo. La pioggia decora strani effetti
sui miei obiettivi. Non li proteggo. Che accada quello che deve accadere.
Mangio salsiccia. Accetto ogni bicchiere di vino. Mi piace il gesto di chi
versa: si inclina un bottiglione da sotto l’ascella. Gli uomini assomigliano a
una fontana classica. I bicchieri sono piccoli. Il vino ha un fondo di acido.
Vino giovane. Dell’anno. Non fermentato. ‘Buona scesa’, mi dice un uomo. Qua si dice:
zuccheriett . Si
beve in fretta, il bicchiere deve passare di mano in mano.
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La riffa |
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L'offerta della salsiccia |
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Le torte |
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Comunità |
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L'ultimo tocco |
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Girare, passare da parte |
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Le mani |
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Il vino, la sigaretta, il salame |
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Zi' Franco ha finito la cassa |
Zì Franco ha già
finito il suo lavoro da falegname. La
cassa
è pronta. Sono rapidi da queste parti. Anche la cima è saldata alla
pita. Si mettono, a colpi di mazza,
listelli, i
vrocc, che attraversano
il corpo dei due legni. Arrivano i regali da legare ai rami della cima.
Appaiono palloncini, uno splendido e smarrito Titti di plastica, un ananas mi
spiazza (frutto della Calabria?), arriva una donna, Carmela, con un cerchio
intrecciato di pan dolce con le uova sode. E’ la
collura. I ragazzi la proteggono con un sacchetto di plastica: non
deve bagnarsi. Ora c’è frenesia. La gente sa cosa sta per accadere: c’è da
alzare l’albero. I ruoli diventano strategia. Ci si mette ai propri posti.
Ognuno li conosce. Arriva la scala e viene messa sotto il tronco della
pita. Un uomo sale sui pioli. Guiderà i
movimenti. Gli uomini afferrano i legni
a forca e sollevano, centimetro dopo centimetro, l’albero. Altri uomini con le
leve di ferro spingono con forza. Tutto è complesso, tutto appare semplice. Tutto
è confuso, tutto è ordinato. Piove, fa freddo, in un minuto arriva il sole,
azzurro improvviso, nebbia, nuvole senza colore, nuvole bianchissime. Il cielo
in tumulto rimbalza sulla piazza. Musica della banda. Musica dei ragazzi con
zampogna, tamburello e organetto. Incoraggiamento, danza, forza, bellezza sotto
la pioggia. Gli uomini della zampogna guardano oltre l’orizzonte, i ragazzi dei
tamburelli hanno il capo reclinato sulla spalla, molti suonano a occhi chiusi,
lasciano tracce di sangue sulla pelle del loro strumento. Fa freddo. Nessuno se
ne va.
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Zi' Franco e Titti |
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Controllare la scivolata |
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Le vrocc' |
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Ananas? |
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Musica |
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Il pan dolce con l'uovo sodo |
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Spingere |
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Tirare |
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Alzare |
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Le scale |
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Alzare |
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La fatica |
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Gli uomini della festa |
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Dai |
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L'albero |
Gli uomini afferrano legni, aste di ferro, bastoni, arriva
una seconda scala. L’albero viene mosso fino all’imbocco della fossa. Ha preso
la direzione. Ora si conquista un millimetro dopo l’altro. La pita scivola con un grido. Si spinge, si
alza, ci dà forza, si cerca un equilibrio. Ora l’albero non vola, ma sale verso il
cielo con la fatica delle braccia di una comunità. Tutti a naso in su. Tutti a
cercare la propria forza. Nessuno sembra comandare, ma qualcosa c’è, se questa
gente riesce a muoversi nello stesso momento. Hanno un’intesa. Mi dicono tutti:
‘Si è sempre fatto così’. Un uomo vuole farmi sapere che suo padre è salito
sull’albero nel 1954. A 43 anni. L’albero sale per davvero, cerca la sua
verticalità, torna a essere abete fra le case. Supera i tetti. C’è vento, la
cima oscilla. Al bar hanno preparato la pizza al pomodoro. Un euro. Fame
improvvisa. Ancora fatica, risate, pioggia, sole, salgo su un balcone per
vedere la scena nella sua grandiosità di paese. I musicisti si dimenticano
della pioggia. Ecco, l’albero è
arrivato fino alla cassa. Gioco di
leve, uomini scendono nel ventre della fossa. Il legno quasi ruota per cercare
l’altezza. Ora tutti sono spalla contro spalla, pancia contro schiena, un
abbraccio da guerrieri, si avanza come una testuggine. Gli uomini sono
diventati un solo gruppo. La spinta è collettiva. Ultimo sforzo. Ultima spinta.
L’albero è in piedi. Si guarda la cima. Si lega il tronco, lo si assicura con
uno strano bastone dalle corna di ferro. ‘Qui abbiamo un cuore migliore’, mi
dice un uomo. C’è felicità nell’aria. Adrenalina. Orgoglio. E’ tardissimo. La
messa di sant’Alessandro può cominciare solo quando l’albero è in piedi. Le
donne vanno verso la chiesa. Gli uomini si dirottano verso i vicoli. Quasi di
soppiatto. Si va in magazzino. La cantina di Alessandro. Bisogna farsi gli
auguri. Oggi è il giorno del santo. Alessandro, appunto. Ci sono solo uomini
fra gli attrezzi, le piccole botti, gli oggetti riposti. Ritrovo tutti gli
uomini. Siamo solo uomini. Si taglia prosciutto, salame, c’è formaggio sardo
fortissimo, vino aspro e buono. Ci si
bacia sulle guance, auguri, musica. Chiedono le foto. Si mettono in posa. Si
sta qui.
Vado in cerca della processione. Sono le una passate e la
messa non è ancora finita. Due musicisti con le zampogne aspettano a entrare in
chiesa. Il viaggio del santo deve ancora cominciare. La sua statua viene
portata fuori dalla navata, scendo i gradini. Guardo con qualche stupore
addosso. Questa comunità fa una fatica irragionevole per portar giù dalla
montagna un albero da quaranta quintali, ma poi il santo gira per i vicoli del
paese su un carrello con le ruote. Ho imparato a non chiedere. Però è
curioso (perdonatemi) vedere un santo
protetto da un ombrello che sale e scende per gli stradelli del paese su un
carretto spinto a braccia. Alla fine c’è anche una gomma a terra. Mi dicono che
le donne, in agosto, portano la Madonna del Carmine sorreggendola con le mani. Ci
si ferma al terrazzo del paese, ci sono i fuochi nell’aria. Mi guardo attorno e
vedo gli uomini dell’albero agghindati a festa. Metamorfosi di paese. Li avevo
lasciati a fare brindisi di vino. Avevano gli abiti già pronti a casa. Non li
riconosco in giacchetta e pantaloni lustri. Camicia pulita. Si sono anche
sbarbati. In questo paese le cose accadono senza che te ne accorgi. I paesani
aspettano il santo davanti alle porte di casa. Le aprono. Hanno in mano il
denaro da mettere nella cassetta delle offerte. I vecchi escono di casa, vanno
incontro alla statua. Devozione. Scopro altri affreschi di paese. Tina, Tina
Modotti, è arrivata fino ad Alessandria del Carretto. Proprio non riesco a
liberarmi di te, Tina. C’è un muro giallo. Bellissimo. Splendido di pioggia. I
musicisti della banda sono arrabbiati. Si bagnano come pulcini. Si rifugiano
sotto le tettoie. Il santo passa davanti all’albero. Ma sembra non guardarlo.
O, forse, lancia un’occhiata. Come a dire: dai, fermiamoci un momento.
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Spettatore |
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Equilibrio |
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Musica al riparo |
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L'offerta del vino |
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Gli uomini della festa |
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Zi' Ciccio |
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Cielo |
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Scivola |
Si torna in chiesa. Arriva il sole. Non è mica finita.
Arrivano donne e uomini con bottiglie di vino abbellite da formaggi, salsicce,
sale, formaggi e funghi. Sono le offerte per l’
incanto.
Ecco l’atto che chiude la mattina. Ci sarà l’asta. Sui gradini della chiesa, il
santo guarda la piccola folla, Vincenzo è il banditore. Sa come vendere. Mi
dice con fare complice: ‘Vedrai…quattrocento euro per una bottiglia’. Si
schierano squadre di amici. Tirano fuori soldi. Ci si contenderà le bottiglie.
Si comincia…Vincenzo è bravo. Mette in competizione. Si parte con cautela, ma i
prezzi si scaldano. Cento euro fanno presto a essere offerti per una bottiglia
di vino. Le voci si rincorrono da una parte all’altra della piazza. Ancora una
volta, sto in mezzo alla sorpresa. I ragazzi tirano fuori dal portafoglio
biglietti da cinquanta euro. E una bottiglia con funghi e formaggio va a
duecento e sessanta euro. E mi dicono che è poco. Si beve subito, si salano i
funghi, si offre formaggio. Felicità pura. Allegria che contagia. Le offerte si
moltiplicano. Vincenzo è senza voce. Il banditore diventa Luciano. Sta a
Firenze. Se ho ben capito, era suo nonno a gridare, anni fa, l’
incanto e lui ci tiene a essere qui. Il
nonno è raffigurato in un affresco di fronte alla chiesa.
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Sforzo assieme |
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Va bene? |
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Albero in piedi |
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Ancora una fatica |
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Incastri |
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Il gioco dei legni |
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L'incanto |
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Gli uomini della festa |
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Naso in su |
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L'uomo della scala |
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Peppino |
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Luciano |
Non è finita. La festa non ha mai fine. Nel pomeriggio c’è
da arrampicarsi sull’albero. Il tempo diventa tempesta. Ora non ci sono più
speranze. Piovono aghi di freddo. Acqua che scivola nel collo. Musicisti in
jam-session nella chiesa che non lo è più. Piove. E chi se ne importa.
Michelangelo è rannicchiato dal freddo. Non perde di vista l’albero. Sono già
le cinque, il cielo è oscuro. Grigio topo nell’aria. Ma tutti aspettiamo. E’
Alessandro che sale per primo. Lo sapevano tutti. Senza scarpe, maglietta senza
maniche alla faccia del gelo, guarda l’albero, si spalma mani e braccia di
pece liquida. Piove, il legno è uno scivolo. Ma Alessandro non ha un solo dubbio. Sale
su. Sale su. A razzo. Con lo stile di una scimmia delle foreste di Calabria.
Ginocchio piegato, i piedi a fare presa. Sale su. Verso il cielo. Verso i doni
dell’albero. Verso la gloria di una sera al paese. Afferra gli ultimi pioli, è
sotto la cima, libera Titti, fa cadere un pupazzo, cerca di prendere il pan
dolce. E poi scivola giù. Applausi e pioggia. Rito felice. Ed ecco
Michelangelo. Guarda in alto. Michelangelo non è del paese. Ma è nato in
Calabria. Ha fatto un film sul paese. Un bel film. Si chiama Le quattro volte. Torna tutti gli anni
ad Alessandria. Michelangelo viene da Milano. E’ un regista. Silenzioso. Ha un
sorriso bello. Anche lui sale. Sale con fretta, si ferma, riprende, piega le
ginocchia, piedi a tenere il legno. Si sento il suo respiro. Anche Michelangelo
arriva in cielo. Si vede che non faccio più il giornalista, un tempo lo avrei
intervistato e scritto di lui.
E ora? E ora il vigile del paese si ricorda il suo mestiere
e allontana chi sta vicino all’albero. Mi sposta con una mano sul mio zaino. Piove a dirotto. Gli uomini alzano le
pietre, liberano la fossa, tolgono di nuovo i sassi, slegano l’albero, affidano
corde ad altri uomini, sganciano il bastone dalle corna di ferro. L’albero è
libero. Basta una piccola spinta. Il tocco di una mano, lo strattone di una fune. Un copertone per farlo rimbalzare. Ecco,
l’albero cade. Ho sbagliato lato dal quale stare. Nuvola di pioggia. Tonfo da
spavento. Sobbalzo da terremoto. L’albero è caduto. Prova a risalire verso
l’alto. Non ce la fa. Si arrende. E’ di nuovo a terra. Immobile. Ed è come se
fosse stato dato un segnale: i paesani si gettano sulla cima, cercano i regali,
strappano ciuffi di abete, ombrelli sbattono l’un con l’altro, pioggia a
catinelle, rivoli sulle cerate, spinte e ruzzolone. ‘Porta fortuna’, mi dice
Michelangelo. E allora prendo anch’io un ramo della cima.
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Fine |