venerdì 25 ottobre 2013

Viaggitrici Viaggianti/'Sei meravigliosa, nonna Lucy'

Lucy




Era una donna? Non è poi così certo neppure che cos’era. Ma sicuramente era femmina. Una creatura, a suo modo, dolcissima. Capace di accendere di entusiasmo i cuori più duri. Certamente era un’ominide (con l’apostrofo di genere). Era stata madre. Nonna, probabilmente. Non sorprendetevi se la donna ‘pioniera’, questa volta, è molto particolare. Non parlava. Forse non provava sentimenti. E non è stata la prima femmina apparsa al mondo. Solo che lei ha avuto il destino di rivelarsi, di far intuire la sua avventura sulla Terra. Un’avventura straordinaria e ‘normale’. Lei, che i paleoantropologi mi perdonino, decise di alzarsi in piedi. Fu capace, quasi quattro milioni di anni fa, di scendere dagli alberi e camminare. Sì, Lucy, lasciatemelo credere, è l’antenata, amatissima, di queste ‘donne pioniere’.


Ho girato attorno a Lucy (alla copia del suo scheletro) al museo Nazionale di Addis Abeba. E’ in piedi, questo piccolo essere. Piccolissima e, ancor oggi, quarant’anni dopo il suo risveglio, appare come stupita di tutte le attenzioni che le sono state riservate. Sembra dirti che lei non ha fatto niente di eccezionale. Grazie a Lucy, noi, uomini e donne di questo pianeta, sappiamo di aver mosso i primi veri passi della nostra storia in Africa.


La lava della Dancalia





Dopo anni di baruffe, gli scienziati si accordarono: Lucy era il primo esemplare di Australopithecus afarensis. In realtà non vi fu una vera intesa fra gli esperti della preistoria più remota, ma era oramai troppo tardi: Lucy aveva già conquistato l’opinione pubblica mondiale e ne faceva beffe dei litigi fra paleoantropologi. L’umanità aveva bisogno di una progenitrice: e a lei, in fondo, questo piaceva come le piaceva essere un australopiteco, una ‘scimmia del Sud’.

Donald Johanson (da Rollins.edu)



L’ultimo giorno di novembre del 1974, un gruppo di antropologi delle preistorie (Don Johanson, Tom Gray, il geologo Taieb) rimasero paralizzati dall’emozione: nella pietraia di Hadar, Ad Da’ar, ‘il fiume bianco’, erano ricomparse le ossa di quella strana creatura. Lucy era quasi intera. Per simmetria, fu possibile ricostruire il 70% del suo scheletro. Si capì che era incapace di utilizzare alcun utensile, che aveva un cervello minuscolo, ma sapeva stare in posizione eretta. Era di una simpatia unica, destinata a diventare, suo malgrado, ‘una star del firmamento antropologico’. Scrisse Johanson: ‘Era diversa da qualsiasi cosa scoperta prima’. Lucy era diversa! Robusta, tenace, forse meno agile di noi, ma camminatrice instancabile. Sapeva ancora arrampicarsi sugli alberi: era lei a scegliere quando camminare e quando appendersi ai rami. Era la prova dell’evoluzione umana. Era uno scricciolo, leggera come l’aria: pesava meno di ventisette chili.







Da John Lennon.it



Per gli scienziati, Lucy è AL 288-1. Vale a dire: Afar Locality, numero 288, fossile numero Uno, riemerso nella terra degli Afar, popolo della Dancalia. E’ una classificazione che non rende giustizia alla sua bellezza. La notte del suo ritrovamento, gli antropologi e le loro guide fecero baldoria. Gli afar offrirono, a quegli uomini bianchi, in segno di onore, il primo pezzo di fegato di una capra. Fu festa per ore e ore in quel deserto estremo di Etiopia. La colonna sonora di quel tempo ubriaco fuLucy in the sky with diamonds, allucinata canzone dei Beatles. Oggi sappiamo che era una canzone splendida e innocente: non inneggiava all’Lsd, come sempre i nostri pensieri malevoli avevano creduto. John Lennon l’aveva scritta ispirato da un disegno di suo figlio. Raffigurava la sua amica di asilo: Lucy avvolta in un cielo di diamanti. Una bambina donò il nome alla più antica delle sue nonne.




Doveva avere più o meno trent’anni quando si accucciò sulla sponda del fiume Hadar. Era stanca Lucy. Da tempo soffriva di artrosi. Aveva un’età veneranda. Pensate: all’epoca dei romani gli anni di Lucy erano considerati una vita già lunga. Quel giorno di una inimmaginabile protostoria, Lucy ripensò alla sua vita. Forse il vallone pietroso dove è stata ritrovata, era stato davvero il suo territorio. Allora doveva essere coperto di foreste. Attorno a lei sono stati trovati i resti fossili di un’altra dozzina di individui. I suoi giorni dovevano essere scanditi dalla ricerca del cibo. Era vegetariana, Lucy. A notte cercava un rifugio fra gli alberi per dormire. Deve aver allevato nidiate di figli. Non avrebbe mai immaginato di poter viaggiare in terre lontane. E’ un mito, Lucy: è salita sui palcoscenici di New York e di Algeri. E’ stata mostrata all’umanità. E tutti sono rimasti affezionati a questa prima donna.






In attesa di veder ricomparire Lucy


Nella solitudine della Dancalia, affacciato in un vallone desolato, riesco a immaginare gli ultimi gesti di Lucy. La luce del primo pomeriggio è accecante. E’ davvero affaticata, questa nonna vecchissima. Sta cercando un posto dove riposarsi. Guarda i suoi figli scorrazzare fra le erbe. Alla fine, lentamente, come una vecchia, si siede all’ombra di un’acacia. Ha una sorta di sorriso malinconico. Il riflesso dell’acqua del fiume attira la sua ultima attenzione. Muore in pace, Lucy. La prossima alluvione ricoprirà il suo corpo di fango. Le sue ossa non furono disperse dagli animali. Rimase in attesa. Per milioni di anni. Solo per donare stupore agli uomini di un futuro che non poteva immaginare. Ha avuto ragione chi, guardandola con occhi commossi, decise che davvero era bellissima. Qualcuno in Etiopia decise che il nome africano di Lucy non poteva che essere un grido di meraviglia: ‘Dinquinesh. Sei meravigliosa’

mercoledì 16 ottobre 2013

Luoghi di resistenza (in)consapevole/Cambiare vita, il libraio Gulliver di Verona



La libreria Gulliver


Ho passato appena cinque minuti in questa piccola libreria. Via Stella, centro di Verona. So che la casa di Giulietta è a pochi passi. Abbiamo fretta. C’è da presentare un libro, questa sera. E non c’è tempo. Non c’è mai il tempo. Ma i luoghi, certi luoghi, riescono a farsi capire subito. A lasciare addosso nostalgie e desideri. E’ un’occhiata, un istinto, un annusarsi in cerca di un odore che sai amico. E allora basta uno sguardo: la grande foto di Tiziano Terzani degli anni di ‘Un indovino mi disse’, i palloncini di carta colorata che a me, fiorentino, appaiono come rificolone, ma che sono state comprate al mercato di Luang Prabang, il gioco dei mappamondi, dei planisferi, delle grandi carte geografiche, la rampa delle scale, l’arredo in legno, l’odore intenso della carta (ma, confesserà il libraio: ‘Eb….che? Ammetto, metto in valigia una decina di libri e so che l’ebook sarebbe molto più comodo’). Ecco, la libreria Gulliver nel cuore di Verona è una terra giusta.

Luigi Licci



Esiste da ventitre anni, questa libreria. Luigi Licci, 56 anni, vi è arrivato sei anni fa. Per un ‘cambio di vita’. Per un destino, immagino. Nato a Roma, padre salentino, madre torinese. Meticciato italiano. A vent’anni è già a New York. Giovanissimo riassicuratore. E poi broker. Trent’anni nel mondo della finanza. Fra gli Stati Uniti, Londra e l’Italia. Poi ci sono le coincidenze che indirizzano la vita. A Luigi piace l’arte del viaggiare. In Birmania incontra la donna che diventerà sua moglie. Veronese. E’ il 1994. Il lavoro nell’universo delle riassicurazioni sta cambiando: ‘Non rinnego e non rimpiango il mio lavoro – dice Luigi – Ma era diventato sempre meno umano. Si era smarrito il filo di ogni amicizia’. I cambiamenti veri hanno la solidità di un pensiero coltivato a lungo. Hanno lentezza. Luigi si interroga: cosa gli piace? Leggere e viaggiare. E’ possibile che ciò che ami diventi un lavoro? A un passo dai cinquant’anni, il riassicuratore fa un breve corso da libraio a Minumun Fax, coraggiosa casa editrice romana. Adocchia qualche libreria a Roma. Scarta qualche possibilità troppo complessa. Poi si trova a passeggiare per la via Stella a Verona. Già amava quella libreria di viaggi. In fondo bastano tre ore di chiacchiere con Giorgio Chiavegato, il fondatore di Gulliver per trovare un inatteso accordo. E’ così che Luigi Licci diventa libraio. E un uomo dall’aria felice.

Tiziano Terzani fra le rificolone di Luang Prabang

La felicità? E’ un incontro con Paco Taibo II (che dorme a casa sua). Una serata con Pino Cacucci. L’amicizia con Emilio Rigatti e il disegnatore Stefano Faravelli. Il poter consigliare a giovani lettori Tiziano Terzani e Paolo Rumiz. Il passare una serata con Vera Verdiani, la bravissima traduttrice di Ryszard Kapuściński. Già, Ryszard…in via Stella è l’autore più amato. Il suo Ebano è la guida suggerita per chi vuole andare in Africa.

Si fa il libraio per gioia leggera. Ogni giorno, in una vera libreria accade qualcosa. ‘Oggi è venuta una donna messicana. Ha girato fra i libri. E poi mi ha raccontato che lei abita da anni a Sommacampagna e ogni anno, a maggio, per il giorno della Vergine di Guadalupe, apre le porte della sua casa e organizza un grande banchetto. Ecco, questa è stata la storia che ha dato senso a questa giornata’. Microstorie di viaggio.

Luigi nella libreria





Certo, c’è la contabilità, i conti che tornano a fatica (la libreria è in pareggio, non ci si arricchisce), ci sono i resi, i rapporti da tempesta con i distributori, la gestione del magazzino. Quotidianità della vita di un libraio. Si lavora anche al sabato. Un riassicuratore non lo faceva. Si lavora di più, è la scoperta. C’è l’amore per la letteratura di viaggio, ma qui si viene a cercare guide, manuali, carte geografiche mappe. A chi chiede una LonelyPlanet (sono finiti i tempi delle amatissime Clup) si può anche suggerire uno scrittore del paese dove si ha intenzione di andare.

E poi ci sono le storie di un viaggio di nozze del 1954. Una giovane coppia che attraversa l’Africa a bordo di una magnifica Chevrolet e ne esce fuori un libro per Vivalda: ‘Rosalie Scevroletti e i suoi trentacinquemila chilometri’. Una storia che Luigi mi racconta seduti al tavolo di un caffè e io non ricordo nemmeno perché. Mi rimane nella testa la sensazione che sia una storia bellissima. C’è la storia di un uomo che trova, fra gli scaffali, il libro che ha scritto sulla prigionia di suo padre in India.

Il mestiere di libraio come conversatore, uomo che legge, che suggerisce. Che ha tempo per il lettore che varca la soglia della sua bottega.

(Andrea Semplici)



Libreria GulliverTravelBooks

Via Stella 16, b

Tel. 045.8007234

www.gullivertravelbooks.it

domenica 13 ottobre 2013

Opzione zero/Seminare granoturco

Seminare granoturco, piantare querce e pioppi, là dove altri vorrebbero murare cemento. A un passo dalla Riviere del Brenta, un piccolo paese della piana, Cazzago di Pianiga, un campo minuscolo. Qui vorrebbero costruire una megacity. Già, la chiamano City. Un mostro senza forme. Sono senza fantasia: dalla via Gluck in poi hanno in testa solo il cemento. E' che non si sono mai fermati ad ammirare un campo di granoturco che oscilla al vento. Ieri è stato seminato, dovremo avere cura di queste piante e poi raccogliere le pannocchie. Per la polenta.
Per saperne di più: www.opzionezero.org


















martedì 8 ottobre 2013

Il Vajont è un torrente di 14 chilometri....


La diga del Vajont


(Foto di Vittore Buzzi)

Alle 22.39 del 9 ottobre del 1963 arriva l’onda. Era alta oltre cento metri. Dal monte Toc si è staccata una frana di 260 milioni di metri cubi di fango e rocce. Precipita nel lago artificiale creato da una diga che aveva appena tre anni di vita. La diga tiene, ma l’onda la scavalca e cinquanta milioni di metri cubi di acqua piombano su Rivalta, Longarone, Pirago, Faè e Villanova. Nessuna sa, con esattezza, quanti siano stati i morti: 1909? 1918? 1994? Solo 726 corpi sono stati riconosciuti. 426 bambini sono fra le vittime. Mi dicono che, all’ingresso, del sacrario, sta scritto:‘Prima il fragore dell’onda. Poi il silenzio della morte. Mai l’oblio della memoria’.

Lo sconosciuto libro di una coraggiosa giornalista, Tina Merlin. Lo sconosciuto libro di una fotografa, Lucia Vastano. Le parole di Marco Paolini. Ci hanno aiutato a non dimenticare. So che domani i giornali e la televisione ricorderanno. Come vorrei che fosse fatta anche giustizia. Si sono svolti processi. Condanne lievi. Un imputato si suicidò.


Gli orologi recuperati dopo l'onda. Fermi sull'ora della strage




Indro Montanelli, Giorgio Bocca e Dino Buzzati scrissero, invece, che questa tragedia era colpa della Natura. Giampaolo Pansa provò a scrivere, fin da subito, che quella diga si trovava sotto un monte che si sfaldava. Lo scrisse a istinto. Ascoltando qualcuno a Belluno.

Vajont vuol dire ‘viene giù’. Toc, in friulano, sta per ‘marcio’. Bisogna dare ascolto alla saggezza della gente della montagna. La strage del Vajont è stata colpa dell’avidità di alcuni uomini. C’erano troppi soldi in gioco.

Ha ragione Erri De Luca: questa storia può ripetersi…

Mi ha colpito che un fotografo milanese, Vittore Buzzi, in questi giorni, non riesca a togliersi dalla testa questo dramma accaduto mezzo secolo fa. Vittore ha 45 anni. Non era nato quando quell’ondata travolse una valle. Gli ho chiesto perché questa ‘sentire’ così forte.


Cimitero di Fortogna


‘Scrivo, scrivo per disperazione, scrivo per non dimenticare…

‘Cosa ti spinge a spenderti per una strage (perché di quello si è trattato) che è accaduta quando non eri ancora nato? Cos’è che ti costringe a parlarne, a non farne a meno?’, gli occhi di Andrea mi fissano tra l’interrogativo e il malinconico…

E’ vero perché mi sento di DOVERE qualcosa a tutti quei morti? Perché mi sento di dovere qualcosa ai superstiti? A quelli che non hanno mai smesso di parlarne?

La verità è che la tragedia del Vajont ha colpito due volte. La prima in cui assieme alla cupidigia e al profitto c’era (anche se in piccola percentuale) l’ignoranza, la stupidità, l’indolenza si è conclusa in poco meno di cinque minuti il 9 ottobre 1963 alle 22.39 … La seconda è stata inaugurata il giorno dopo la tragedia ed è continuata con la ricostruzione e questa volta non c’è stata alcuna attenuante, ed è durata e dura fino a oggi.

Devo allora a chi ha saputo non cedere alla rabbia, al comitato sopravvissuti a Tina Merlin, Marco Paolini a Lucia Vastano e a molti altri la capacità di tramandare la memoria…

Io mi sarei arreso al dolore, mi sarei arreso a una furia cieca, avrei perso la ragione e la mia dignità di uomo e avrei seguito la strada più facile… occhio per occhio…

Tutti noi dovremmo raccontare ai nostri figli quello che è successo perché questo non accada più…

Parole al vento… Vento che porta il ferro dell’Ilva, la polvere d’amianto e tante altre morti in nome del profitto…



(Vittore Buzzi)

domenica 6 ottobre 2013

Il loop di Ferrara/Ai margini del Festival di Internazionale

La stessa poltrona dello scorso anno


Il festival di Internazionale ci aveva abituati male: ci donava sempre un’estate di ottobre. Quest’anno ha voluto mostrarci l’autunno vero. La realtà delle stagioni e la crudezza della pioggia padana. A sera, le piazze sono vuote. E anche il festival si è indurito: i ragazzi dello staff devono aver fatto un corso di formazione a Ryan Air. Non sorridono quasi mai e hanno una disciplina da marines. No, con tutto il mio affetto per Internazionale, un altro mondo non è possibile. Almeno quando si superano le dieci persone.

Mercato Coperto. E lei meritava di entrare


Posti esauriti.
E’ il cartello più esposto nei luoghi di Internazionale a Ferrara.

Una ragazza umbra dello staff: ‘Sono al lavoro da undici ore. E non ho preso che insulti’. Contratto? ‘Prestazione occasionale. Ma sono felice di essere qui. Meglio che fare la cameriera’. Salario? Silenzio….il tabù dei soldi….promemoria per me: devo chiedere i conti del Festival.

Piove su Ferrara. Coda per Gad Lerner e....

Quante persone possono entrare in questa sala (era il Mercato Coperto, proiezione notturna delle foto di Gabriele Basilico)? Un ragazzo magrissimo è immobile sulla porta: ‘Mi hanno ordinato di non dirlo’. Una donna cerca di entrare con un piccolo cane nella borsa. Respinta. Una fotografa ingrugnita entra spedita facendosi largo con i gomiti: ‘Faccio parte dello staff’. In trenta aspettiamo fuori. I vigili del fuoco devono essere stati severi con Internazionale. Buffo, qua si parla della libertà del giornalismo, si parla male dell’Eni che rifiuta le interviste e poi si ha la stessa reticenza spicciola.

Teatro Comunale

La ragazza che controlla gli accessi al Teatro Comunale, invece, mi dice che è una volontaria. E’ più distratta. Faccio entrare cinque persone con me e non se ne accorge. I miei amici sono svelti, ma lei, per fortuna, non ha fatto il corso.

Buffet mediorientale. Il buffet è sempre cartina di tornasole.

Sono ingeneroso. Immagino la fatica immensa dietro questo festival straordinario. Come ogni anno, migliaia e migliaia di ragazzi (età media attorno ai 25 anni) affollano i luoghi di Ferrara. Oltre sessanta mila, dicono all'Ufficio Stampa. Code di ore per assistere a un incontro con gli scrittori africani di noir o per ascoltare Gad Lerner. Curioso: nessuno ricorda con chi parlerà Gad, ma tutti sono in fila da almeno due ore.
Si entra facilmente solo all’incontro sul grande viaggio dei ceci. I ceci non interessano…avete sbagliato ragazzi, era fra le storie più interessanti del Festival.

Dove si nasconde, tutto l’anno, questo popolo di Internazionale?

Già, il caffè del chiostro di San Paolo

Chiedo a una ragazza perché sta in coda per entrare all’incontro dei noiristi africani: ‘Mi piace Internazionale’, è la risposta. Un gruppo di ragazzi compulsa il programma e tira a sorte dove andare. Arriveranno sempre in ritardo. Respinti ovunque. Alla fine si accontentano di una piadina e degli schermi con su Inter-Roma (mannaggia a Totti). I bar sono affollati come metropolitane nell’ora di punta. Per loro non deve valere il limite degli ingressi.

Doppia intervista


Il festival (i festival) oramai, come il ritmo della nostra vita, ha davvero una logica Ryan Air: devi prenotare, essere previdente, sapere quello che vuoi fare mesi prima di farlo e chi vi lavora deve essere un mastino sottopagato (questo lo immagino, non lo so perché non me lo vogliono dire: quale è un salario giusto? Quanto sono pagati i ragazzi dello staff?). E’ negata l’improvvisazione, il cambio di programma, il ripensamento, un’altra idea. Sì, un altro mondo davvero non è possibile. Ha vinto il ritmo della modernità. Forse solo l’ (in)utilità, l’ (in)efficienza, l’ (in)operosità e della sana pigrizia potrebbero scardinarla (grazie, Arminio, per i suggerimenti). Ma, così. mi perderei il festival di Internazionale. E, hanno ragione, in cinquemila al cinema Apollo non si può entrare. Alzo le mani. Ma non vorrei arrendermi.

Privilegio da periodista

Ufficio stampa

Accredito da giornalista. A. ne ottiene ben cinque per i suoi amici. In fondo, chi è giornalista, oggi? Quelli di Internazionale dovrebbero saperlo. Non faccio il buon reporter e non chiedo a chi ha l’accredito come me, se fa davvero il giornalista. E poi che cosa fa un giornalista? Che cosa faccio io qui? ‘Dove scrivi?’, mi chiede una ragazza di Milano. Sono un uomo del ‘900 e vorrei dirle: ‘Sul Corriere’. Niente. Già, dove scrivo? Sono un giornalista? A casa appenderò l'accredito assieme a quello degli anni precedenti. Questo blog cos’è? Una chiacchiera da bar? E’ che, a volte, io amo le chiacchiere da bar.

Visioni
Però, contraddizione, c'è chi dava buoni consigli nella piazza davanti al Castello: già, 'Come è triste la prudenza'. Un po' meno di prudenza l'anno prossimo, va bene?

E poi, abitudine di Ferrara, c’è il ragazzo con il carretto delle mele. E non mi sembrano della Melinda. Dono alle moltitudini di Internazionale. Allietano l’attesa. Ma perché non l'ho fotografato. Ho preferito mangiare mele.


Attesa


E c’è Lilijana e il suo Albergo degli Artisti. Da qui, in altri anni, sono passati Ugo Tognazzi e Alberto Campanini. E’ uno dei luoghi più accoglienti che abbia mai trovato in vita mia. Questa volta Lilijana mi offre caffè e crostata di more. Al mattino parliamo, con nostalgie, della sua casa in Dalmazia e di Sarajevo. Ho una sua bella foto, ma lei non vuole che la pubblichi. Andateci in questo albergo, bel posto. Sta in via della Vittoria. Vicolo del centro.

I banchi del mercato con tavolo dei microfoni

Sì, i giorni di Ferrara sono belli. Internazionale organizza una grande storia. Auguri a voi. E ci vedremo anche il prossimo anno.