mercoledì 23 gennaio 2013

E' successo qualcosa ad Asmara?


Soldati eritrei (fronte di Adi Kwala, 2000)


Strano mondo, quello del web. E' come se si inseguissero fantasmi. 
Per un giorno, lunedì 21 gennaio, gli occhi di chi ha a cuore i destini di un piccolo paese del Corno d’Africa, l’Eritrea, hanno inseguito blog, tweet, siti di informazione. Ognuno copiava l’altro o rimbalzava notizie incerte. Era un andirivieni di voci: colpo di stato ad Asmara, arrestato il presidente Isaias Afewerki, cento soldati e due carri armati avevano circondato il palazzo del ministero dell’informazione. Si accendevano le speranze di chi sogna una nuova, possibile libertà per l’Eritrea. Auspicio frustrato: la ribellione di quei soldati, se così è stata, si è arresa dopo poche ore. La televisione di stato, avverte la Bbc, in mancanza di altre notizie, ha ripreso a trasmettere, come se niente fosse accaduto, un episodio di X-Files.

Questa è stata la guerra fra Etiopia ed Eritrea. Fronte di Adi Kwala,  dodici anni fa

Da otto anni non ci sono più corrispondenti di giornali stranieri in Eritrea. Da undici anni non c’è più una sola voce indipendente ad Asmara. I blogger sono universo sconosciuto nella capitale dell'Eritrea. A quanto pare non ci sono (o è troppo pericoloso usare) nemmeno cellulari con i quali rimandare immagini rubate nelle strade. Non c'è una sola foto dell'ammutinamento di quei cento soldati. Non stupitevi: raccontano che, in Eritrea, sono almeno diecimila i prigionieri politici (altre fonti dicono che sono cinquemila). Storie normali di tirannia.

Interpretazioni del sollevamento militare: malcontento di alcuni battaglioni (i soldati ribelli sarebbero stati guidati da Saleh Osman, uno degli ‘eroi’ della guerra contro l’Etiopia del 1998. Oppure: dietro l'ammutinamento c'è il potente generale Filipos, estromesso dal potere lo scorso novembre), la presunta malattia di Isaias Afewerki e, come conseguenza, uno scontro fra i militari che si candidano alla sua successione. Oppure la resa dei conti fra diversi fazioni del partito unico eritreo e dell'esercito. Tutto possibile. Tutto vero. Tutto falso.

Asmara

Certamente, qualcosa sta accadendo ad Asmara. Il regime non appare più così monolitico. Le defezioni si moltiplicano. Alle Olimpiadi di Londra è fuggito perfino il portabandiera degli atleti eritrei. A dicembre la squadra nazionale di calcio (sedici calciatori appena sconfitti dal Ruanda) non è tornata ad Asmara dopo una trasferta in Uganda. Da cinque mesi mancano notizie di uno dei fedelissimi di Isaias: il ministro dell’informazione Alì Abdu non appare più in pubblico. Voci insistenti lo danno in Canada. Avrebbe chiesto rifugio e protezione. I suoi familiari sarebbero agli arresti. I media del regime smentiscono.

Hailemarian Desalegn (da www.diretube.com)

E ancora: a dicembre, il primo ministro etiopico, Hailemariam Desalegn, ammise apertamente, di fronte ai microfoni di al-Jazeera, prima volta di un leader di Addis Abeba, di essere disponibile ad andare ad Asmara per incontrare Isaias Afewerki. Da mesi, in Etiopia, circolano voci di trattative fra i due paesi nemici. Ad Asmara, è probabile, che il potere scricchioli fra chi vuole cogliere questa occasione e i fautori della linea dura.

Nevsun a Bisha, miniera di oro e potassio in Eritrea

E poi vi è l’oro e il potasso. I canadesi della Nevsun Resources possiedono il 60% della miniera di Bisha, nel Nord-Ovest del paese. Bisha è considerata fra le più promettenti miniere (oro e rame) del mondo. La commercializzazione dell’oro eritreo, cominciata nel 2011, ha fatto compiere un balzo dell’8% al devastato pil di Asmara. Le azioni della Nevsun hanno perso quasi il 10% alla notizia del colpo di stato di lunedì. Immediato un tranquillizzante comunicato della multinazionale mineraria: 'Il nostro lavoro continua normalmente'. La Nevsun sta cercando oro anche in Tigray, regione del Nord dell’Etiopia. Ci sono, dunque, geologi e prospectors canadesi di qua e di là delle frontiere. Gli azionisti della Nevsun vogliono un’intesa fra Addis Abeba ed Asmara.

Operai dell'Ethio-Potash nella Piana del Sale in Dancalia

E la vogliono anche altri canadesi. I padroni dell'Allana Potash, a esempio. Quest’anno, questa compagnia mineraria comincerà seriamente a estrarre potassio nei deserti della Dancalia. E’ un grande giacimento. Con un problema ancora apparentemente irrisolto: da dove portar via il potassio? Il mar Rosso è a un passo dal confine con l’Etiopia. Appena sessanta chilometri. E' la via più diretta, la stessa usata dagli italiani quasi un secolo fa. Perché andare fino alla lontana Gibuti a caricare le navi del potassio? I canadesi, credo, vogliono che Isaias Afewerki se ne vada, che l'Eritrea apra le sue frontiere, che la guerra-non guerra con l'Etiopia finisca. L'Allana Potash vuole la pace fra Asmara e Addis Abeba in nome dei soldi che loro sono disposti a versare nelle casse dei due paesi. E, forse, qualcuno ad Asmara non è indifferente a questo richiamo. Come non lo è ad Addis Abeba. 
San Casciano in Val di Pesa, 23 gennaio



lunedì 21 gennaio 2013

Frammenti dietro al palcoscenico della guerra in Sahara



La guerra delle sabbie divampa nel Nord del Mali, si allarga ai deserti algerini, insanguina il più importante impianto di produzione del gas dell’Algeria, scavalca le frontiere della Libia, del Niger, della Mauritania. E, al contempo, quasi smarrisce, in fretta, la prima pagina dei giornali. Si fatica a contenere questo conflitto in qualche stereotipo. Nei giornali, lontani dai terreni del combattimento (una guerra strana, asimettrica, combattuta da poche migliaia di uomini), affiorano piste che si allontano dagli scenari del Sahel e raggiungono gli emirati del Golfo.



I  miliziani di Mujao (da www.malijet.com)

Pierre Boilley, direttore del centro studi sul mondo africano, sostiene che le casse di Mujao, il Movimento per l’unicità e il jihad in Africa Occidentale, ultimo nato della galassia islamista, riceve denaro dalla Mezza luna del Qatar e da reti di solidarietà saudite. La Croce Rossa del Mali, in agosto, aveva firmato un’intesa con la Mezza Luna di Doha. Raccontano che, attraverso questo canale, nel Nord del Mali siano arrivati almeno un milione e quattrocentomila euro di aiuti e denaro. Vi è chi azzarda che il Mujao sarebbe una creatura dei servizi segreti dell’emirato di Doha (altri parlano del Marocco). Non solo: la Direzione delle informazioni militari di Parigi sospetta la presenza di ‘consiglieri’ qatarini nelle file del movimento islamista tuareg di Ansar Dine.

Timbuctu (da www.humanité.fr )

Oumou Sall Seck, sindaco della cittadina di Goundam, a metà strada fra Timbuctu e Mopti, rivela a Le Monde Diplomatique che agli aeroporti di Kidal (controllato da Ansar Dine) e di Timbuctu (in mano ad Al Qaeda del Maghreb), in questi mesi, sono atterrati aerei privi di insegne: ‘Viveri, armi, droga: non si sa. La gente pensa che vengano dal Qatar’.

L’Alto Consiglio Islamico, organizzazione musulmana non ufficiale a Bamako, non nasconde le sue simpatie per il wahhabismo, islam conservatore, religione di stato in Qatar e Arabia Saudita. Lo racconta il giornalista Philippe Leymarie


                                    Al Gore, Current Tv, Al Jazeera (www.foxnews.com)


Consentiteci un balzo privo di senso. Se alcuni sentieri di questa guerra vanno verso la piccola penisola, forziere del gas, del Qatar, Doha non si interessa solo di geopolitica guerriera. Ha in mente altre conquiste e così, mentre in Mali gli islamisti marciavano oltre il confine del fiume Niger, gli gnomi della finanza qatarina volavano negli Stati Uniti per acquistare una piccola, celebre televisione capace di entrare nelle case di 50 milioni di americani. A gennaio, al-Jazeera, ottima televisione dell’emirato del Qatar, ha comprato (per 500 milioni di dollari?), dall’ex-vicepresidente Usa, Al Gore, Current Tv, televisione liberal e snob degli Stati Uniti. Spiega Al Gore: ‘CurrentTV ha l’obiettivo di dare voce a coloro che non vengono mai ascoltati; di svelare la verità di fronte la potere; di fornire punti di vista diversi e di raccontare storie che nessun altro racconta. Questo sono gli stessi obiettivi di al-Jazeera’. C’è da credere ad Al Gore? E all’emiro del Qatar?

Il Qatar che paga lo stipendio di Zlatan Ibrahimovic, entra nelle televisioni Usa ed è padrone della Costa Smeralda è lo stesso paese che gioca con il fuoco nelle terre dei tuareg?

San Casciano in Val di Pesa, 21 gennaio







lunedì 14 gennaio 2013

Mali/Scramble for Africa


Le mani di un vecchio

Arriva una lettera dai deserti attorno a Timbuctu.
Lettera scritta poco prima delle bombe francesi contro gli uomini dei gruppi islamisti.
Questa lettera racconta di giorni prima: ‘I profughi stanno tornando dall’Algeria. Non si può vivere lontani da casa. Anche se a casa c’è la guerra’. Se davvero sono tornati, hanno trovato un altro inferno.
La vita nei villaggi: ‘Le donne sono obbligate a indossare il velo. Non si può fumare. Gli uomini devono farsi crescere la barba. Arrivano aiuti internazionali: finiscono nelle mani degli islamisti. Nelle scuole che hanno riaperto i ragazzi sono separati dalle ragazze’.

Mi colpisce quel: 'Non si può fumare'.

Chi scrive parla di capre perdute. Conosce le difficoltà del suo interlocutore, si preoccupa: ‘Non posso rendicontare i soldi che manderete’.

Lo cheche


C’è una assurda normalità in queste parole. La guerra è chiamata: gli avvenimenti.

C’è una certezza: ‘La liberazione del Nord non avverrà domani’. Non è più liberazione dell'Azawad. Ora bisogna sopravvivere.

Le donne

Gli islamisti, padroni dei deserti del Mali, hanno rotto un equilibrio che durava, con follia, da un anno. Forse volevano precedere un attacco inevitabile. Marciavano su Mopti, gli uomini di al-Qaeda e delle altre bande. Forse avrebbero davvero puntato su Bamako.
Sono arrivati i Mirage francesi. Gli elicotteri, i droni. La guerra della super-tecnologia. Stanno arrivano i soldati del Benin, della Nigeria, del Senegal. Perfino dal Togo. Nessuno vuole mancare. La partita, qui, non è solo l'integrità territoriale del Mali. L’Unione Africana è a fianco dell’intervento internazionale. Anche il pacioso Romano Prodi, inviato speciale dell'Onu per la crisi maliana, ha annuito. Bombe attorno a Gao. A Kidal. Operation Serval. Questa è l'Africa francese. Vittime illustri fra gli islamisti. Erano nomi e soprannomi (era conosciuto come 'Kojak', nomignolo occidental il numero di Ansar Dine) che incutevano timori. Muore, e fa notizia, un ufficiale elicotterista francese. Guerra assurda: a leggere i numeri dei combattenti si potrebbe anche alzare le spalle. L’esercito maliano, raccontano, ha appena duemila uomini addestrati e ottomila soldati sgangherati. I miliziani islamisti non sono più di cinquemila, giurano le solite fonti ben informate. Attorno la popolazione dispersa dei tuareg. Loro perdono sempre.

Social Forum a Bamako. Anni fa.


Questa è l’onda lunga del Vaso di Pandora che la guerra di Libia ha scoperchiato. Questa non è una guerra del deserto. Qui passano via del narcotraffico, delle armi, del commercio di uomini. Questa è anche una guerra per soldi e potere. Ma, soprattutto, queste sabbie sono uno dei palcoscenici del nuovo ordine africano (l’Africa è una frontiera dell’Islam politico, del jhiadismo e dei giochi di potere delle monarchie del Golfo). E' una teatro di guerra che va da Bamako fino a Doha, devia per la Nigeria, sprofonda in Centrafrica, raggiunge le coste della Somalia. Impazzisce, per ragioni diverse (?), nei Grandi Laghi. E' tempesta perfetta (e sangue) in Siria. Africa beffarda: i giornali economici, nelle scorse settimane, ci hanno spiegato la corsa di alcune economie del continente. E ora questa stessa Africa sembra andare in mille pezzi. Nuovo scramble for Africa. Dove tutto appare confuso. In un gioco feroce che interessa i sauditi, i qatarini, i tunisini, i libici, gli algerini, gli americani, gli europei, i russi, i cinesi. E i tuareg non sono nemmeno pedine. Semplicemente non contano.
‘La liberazione del Nord non accadrà domani’, scrive la lettera.

Soldati e civili. A Bamako. Mille anni fa.

E io, con ostinazione, penso ad Abdu sdraiato sulla sabbia pallida di una duna appena fuori Timbuctù. Aspettava di compiere i suoi anni, quel ragazzino. Avrebbe potuto indossare il primo chèche della sua vita. Otto metri di telo azzurro a coprire testa e bocca.

Un altro mondo era possibile

Penso, con ostinazione, a quei cortei festosi dei popoli maliani che attraversarono Bamako qualche anno fa per il Social Forum africano. Allora i tuareg marciavano assieme ai neri del Sud del paese. Penso all’illusione, tutta occidentale, attorno alla ‘società civile’ del Mali. C’era la musica, la bellezza del paese, le festival du desert,la cultura di Aminata Traorè.

Cosa non abbiamo visto?
San Casciano in Val di Pesa, 14 gennaio








domenica 13 gennaio 2013

Luoghi di resistenza (in)consapevole/'Come un uccello in volo', una libreria nella Chinatown di Milano




Il bassotto Virgilio


Il primo libro venduto fu ‘Come un uccello in volo’. Autrice una scrittrice iraniana. Fariba Vafi. La casa editrice è Punto33, coraggiosa impresa di tre donne. Scoprirò poi che conosco una di queste tre donne. Ricordo di un bel viaggio a Teheran. E lei, la libraia, Sabina, 55 anni, allora neofita del commercio dei libri, colleziona gialli e polizieschi scritti, fra il 1930 e il 1950, da donne. Quel libro di Fariba, dalla bella copertina, fu venduta a una donna. Era il settembre del 2010, primo giorno di apertura della piccola libreria. Tre donne in questa piccola storia. Un buon segno. Quasi un oroscopo.

Sabina e un'amica-aiutante per un giorno

I libri di viaggio

Libreria 6rosso. Milano, dalle parti di via Canonica. La linea verde è a quattro fermate di bus. Stazione di Moscova, in questi giorni la libreria Utopia dà l'addio alla sua sede storica, proprio di fronte alla Metro. La libreria6rosso, invece, è in una piccola traversa pedonale. Via Albertini. Devo chiedere per trovarla. Una strada che cerca di diventare piazzetta. 
Un bassotto a pelo ruvido che si chiama Virgilio scorrazza fra i libri. La libreria avverte fin dal suo ingresso: qui non si vende Bruno Vespa, qui si ama Rimbaud e Corto Maltese, Frida Khalo ed Ernesto Guevara, qui si può entrare per mangiare mandarini, qui si ha affetto per gli ‘orfani del 1977’, qui viene Ricki Gianco con la sua chitarra, qui si espone una kefiah, qui si offrono i libri per i cinesi….già, questa è zona Via Sarpi, Chinatown milanese. E allora qui si trovano libri in mandarino, qua i nuovi arrivati dalle campagne cinesi vengono a cercare abbecedari per i rudimenti di italiano, qua le mamme vengono a cercare libri perché i figli imparino anche la lingua del loro paese troppo lontano. Qua si celebra il capodanno cinese e, a volte, si trasforma la piccola piazza di fronte alla libreria in una balera degna di un villaggio cinese.



Frida e Arthur


E ancora: prima di cercare libri l’occhio cade sulla copertina bianca del long-playing Pat Garrett e Billy the Kid. Voce di Bob Dylan. Ci vuole una certa indulgenza per questo posto e per noi stessi. Intuisco cosa può pensare chi ha vent’anni ed entra qua dentro. Ma io devo confessare: per un istante ho amato quella copertina bianca e ho rivisto Billy che scaccia dal letto un mandriano e si sdraia accanto alla donna. Che dice: ‘Mi sei mancato, Billy’. Sì, questa libreria distrae.

Bruno Vespa


Ora basta sfogliare album del ‘900. Sabina lavorava nell’ufficio vendita di una fabbrica di acciaiai. Non è andata in pensione. Stava sul bilico del licenziamento, se ben ricordo. E allora, assieme a Carlo, che di quella società era amministratore delegato (e in pensione c’è andato), perché non cambiare mestiere? I libri (quelli delle storie delle donne, i polizieschi al femminile, l’epica della guerra di Spagna) sono importanti nella vita di Sabina. Al 6rosso di questa piccola strada, c’era un PuntoEinaudi. La libraia aveva i capelli rossi e si chiamava Wanda. Voleva arrendersi. Smettere. Sabina e Carlo venivano qui a comprare libri. Perché non provare a riaprire? Perché non cambiare vita? Pochi mesi per passare dall’acciaio alla carta. Gesto controtendenza: le librerie chiudono, mica si aprono. Nel 2010, poi.

Ernesto


Sabina e Carlo scoprono i guai del libraio. I grandi distributori vogliono fidejussioni. Altri pretendono pagamenti e non depositi. Ti mandano libri che non hai ordinato. ‘Libri sul poker e sugli abiti da sposa’, racconta Sabina. ‘Ti tocca spendere per rimandarglieli indietro’. La distribuzione snobba la piccole librerie. Non sono business, non vendono Bruno Vespa e cullano sogni strani. Sono prive di realtà. Però ci sono piccoli editori che si appigliano ai librai solitari.  Solo in questi luoghi si vedono i loro libri. Ci sono luoghi diversi. Che vogliono godersela questa vita. A volte, alla libreria 6 rosso, si danno appuntamento vecchi cantori e allora è vino e salami fino a tarda notte. Roba da nostalgia.
Qui si vendono libri per bambini. Per bambini cinesi. Per italiani. Si adora la casa editrice Stampatello. La libreria è piccola. Tremila libri. Forse qualcosa di più. Ce ne entrerebbero forse novemila. Una copia per libro. Quasi sempre un solo volume libro per edizione. Se sarà venduta, Sabina andrà in cerca di 
una seconda. Come Snoopy.



Sono le donne a leggere libri. Almeno, qui, attorno a via Sarpi. Sarà ragione di complicità con Sabina, ma qui si vedono soprattutto donne. ‘Gli uomini sono apparsi fra le sei e le sette e mezza del 24 dicembre. In affanno’, sorride Sabina.

Lorenzo e la sua chitarra

Si vive di libri? No. Forse, ora, dopo due anni. Ma sul bilico dell’impossibilità e della sopravvivenza. Sabina lo confessa con candore.



E allora? E allora Sabina mi regala un piccolo libro di uno scrittore argentino. Racconta di un bibliofilo che, al culmine della sua ossessione, si costruisce una casa di libri in riva all’oceano e poi la distrugge per sorprendere una donna. E poi, dietro mia richiesta, mi regala una piccola rana.


Libreria 6rosso.
Via Goffredo Albertini, 6
20154 Milano
Tel. 02.34593751
www.6rosso.com