lunedì 30 luglio 2012

Paradosso Qatar/8


Doha (da wikipedia)


Raccontano che gli investitori del Qatar (banca centrale, fondo sovrano) posseggano il 95% dello Shard, il più alto grattacielo dell’Europa, inaugurato ai primi di luglio. 310 splendidi metri, vetro e acciaio, che svettano sul Tamigi della Londra delle Olimpiadi. Doha, da tempo, ha deciso di non essere più invisibile. Mostra tutta la sua forza.

Lo Shard (da wikipedia)


E’ un’estate impressionante per l’emiro Hamad bin Kalifha al-Thani. Solo pochi giorni prima della spettacolare inaugurazione dello Shard, il primo ministro qatarino, lo sceicco Hamad bin Jassin al-Thani, incontrava il segretario di stato Usa, Hillary Clinton, per convincerla della necessità di un intervento internazionale in Siria.

Mozah bin Nasser al-Missned

L'emorio Hamad al-Thani














Il Qatar ha una straordinaria capacità di onnipresenza. Passo dopo passo, sta conquistando l’immaginario occidentale. Sempre ai primi di luglio, la famiglia reale di Doha ha staccato un assegno da 700 milioni di euro (720 secondo fonti diverse) per comprare Valentino, marchio del lusso (fatturato 2011 da 322 milioni di euro, una crescita del 23% nei primi sei mesi del 2012). Acquisto personale dell’emiro, fanno capire i bene informati. Valentino è stato comprato da una società qatarina, la Mayhoola for investments ‘partecipata da un primario investitore’ di Doha. Ufficialmente il nome dell’emiro e di sua moglie Mozah bin Nasser al-Missned non è comparso, ma nessuno dubita che sia la famiglia reale ad aver concluso l’affare. Una curiosità: la Mayhoola ha avuto la licenza di holding company appena nove mesi fa.

Rosso Valentino (da tafner.it)


Il Qatar ha un disegno strategico fin troppo chiaro: moda, lusso, arte, sport, televisione sono i suoi business. La sua cassaforte è il gas. Doha compra i simboli dell’occidente (simboli che producono denaro): i magazzini Harrod’s, il 10% della Porsche, il 2% di Lwmh (il marchio Luis Vitton), l’hotel d’Evreux in place Vendome a Parigi, palazzi agli Champs Elysèe e in Rue de Rivoli. Il vecchio hotel Gallia a Milano. E ancora partecipazioni in Tiffany, in Suez, in Veolia…..si fa prima a dire cosa non possegga l’emirato qatarino. L’elenco appare senza fine: il 17% della Volskwagen, gli studios della Miramax, quote significative della Borsa di Londra. Prima di questa estate il Qatar ha fatto in tempo a regalarsi la Costa Smeralda (e l’ha pagata meno di Valentino). Doha possiede partecipazioni di rilievo in banche: il 5% dei Crèdit Suisse, maggior azionista in Barclays (il 6,5%).

Zlatan (da tempi.it)


Con poco più di 60 milioni di euro, il Paris Saint Germain (proprietà del Qatar), squadra senza storia nel mondo del calcio, ha portato sotto la Torre Eiffel Thiago Silva e Zlatan Ibrahimovic. Dicono che Silvio Berlusconi sia sia dovuto rimangiare la promessa di non cedere, contro la loro dichiarata volontà, i due giocatori-star perché spera in un generoso ingresso dell’emirato nel suo traballante impero televisivo. Intanto, quest’anno vedremo come la collezione di figurine (oltre i due ex-milanisti, già vi sono Pastore e Lavezzi e il giovane Verratti che salta dal Pescara a Parigi) la squadra di Ancelotti e Leonardo giocherà in Champions League. L’emiro possiede anche il Malaga e sponsorizza il Barcellona. La Fly Emirates sostiene il Milan, il Real Madrid (equidistanza sportiva), l’Arsenal e l’Amburgo. Nel 2022, i mondiali di calcio si giocheranno nelle fornaci (stadi con aria condizionata) del deserto qatarino.

Raccontano ancora che i servizi segreti, ancora scottati dal sorprendente ingresso della Libia di Gheddafi in Finmeccanica appena un mese prima della rivolta di Bengasi, abbiano fatto sapere che il Qatar ha messo gli occhi anche sui cantieri navali di Ancona e Monfalcone. Fra i primi al mondo per la costruzione di yacht e navi da crociera. Voci di giornalisti parlano di interessamento per la Snam.

Prende un senso di vertigine a stare dietro alle mosse dei manager qatarini. Dove trovano il tempo di occuparsi di affari e di scenari di geopolitica? Quello che è certo è che il protagonismo dell’emirato ha alterato ogni equilibrio nel Golfo Persico e in Medioriente.

Il Qatar


E’ vero che a leggere le statistiche ogni qatarino ha un reddito di 102mila dollari. Chi ha i soldi, comanda. Un piccolo lembo arido di deserto (undicimila chilometri quadrati, poco meno di due milioni di abitanti, ma solo 640mila di origine qatarini), indipendente da appena quaranta anni, è diventato una potenza mondiale. Quanti sono i governanti dell’emirato? Quando dormono? Oltre a star dietro ad affari da marziani, impiegano il loro tempo a trattare con talebani in Afghanistan e con Hamas a Gaza (i due movimenti islamisti radicali hanno i loro uffici a Doha). Spediscono (Doha nega, ma ogni fonte giornalistica conferma) armi in Siria. Vogliono la testa di Assad (anche se sua moglie Asma è sempre stata una eccellente cliente di Harrod’s), come hanno preteso quella di Gheddafi. Stanno dietro al nuovo potere in Tunisia e in Egitto. Al Jazeera è la televisione più influente del mondo arabo. I suoi uomini stanno creando le televisioni in Libia e in Bosnia.

Una curiosità: mi piacerebbe sapere cosa si sono detti il premier italiano Mario Monti e l’emiro al-Thani il 16 aprile? Dopo quel colloquio Doha ha cominciato la sua campagna acquisti anche in Italia.
30 luglio. San Casciano in Val di Pesa, 30 luglio





lunedì 23 luglio 2012

Hugo



Hugo y Giulia


Dice Hugo Blanco:
‘I popoli indigeni sono i più legati alla natura. La civiltà sta attaccando la natura. Gli indigeni reagiscono. Sono loro a difendere la natura. In qualsiasi parte del mondo. Questa non è una resistenza etnica, ma culturale. E’ un’etica primigenia’.

Definisce Hugo Blanco:
‘Gli indigeni hanno amore per Madre Terra’.
‘Vi è orgoglio indigeno nel coltivare la terra. Un contadino è fiero quando produce ‘completo’. A un contadino indigeno preme la varietà di quanto produce. Quasi si disinteressa della quantità’.
‘Nelle comunità indigene, il potere politico è a rotazione. Due anni. Non di più. Tutti possono governare una comunità’

Lo sguardo di Hugo


Racconta Hugo Blanco:
‘Un uomo va al mercato e vede un bancarella colma di patate. Gli piacciono molto. Vuole comprarle tutte. Non chiede nemmeno uno sconto. Offre un buon prezzo. Il contadino lo guarda con qualche incertezza. Poi dice: Non posso, se vendo tutto a te, cosa venderò agli altri?’.
‘Il mercato non è una semplice attività commerciale. E’ una relazione’.
Questo è il buen vivir

L'orgoglio di Hugo


Racconta ancora Hugo Blanco:
‘Un uomo lavora in un campo. Deve ripulirlo delle erbacce. Usa il machete con abilità. Il padrone del campo lo guarda con curiosità. Alla fine del lavoro, gli dona il machete e gli propone: ‘Lavora ancora per me. Ho un altro campo. Ti darò un altro machete’. L’uomo soppesa lo strumento, guarda il padrone: ‘Ho una sola mano. Posso impugnare un solo machete. Va bene così’. E se ne va. L’uomo voleva solo vivere.

Guarda un punto indefinito, Hugo Blanco:
‘Il mondo indigeno ha un’etica. La loro etica è una delle vie di salvezza della nostra Terra’.

Hugo in Argentina. Molto tempo fa. I tempi diversi della militanza


Osservo il camminare di Hugo nei corridoi di un monastero sulla collina di Cortona. Siamo stati lì, una cinquantina di persone, a parlare di Latinoamerica. Qualche giorno di clausura per osservare il mondo da lontano. O da vicino, chissà. 
Ora guardo un vecchio (pochi anni più di me) dalla grande pancia, solido e orgoglioso. Si muove a scatti. Cerca di tenere la schiena ben dritta. Fa caldo, indossa vecchie magliette e pantaloncini corti da calciatore. Ha gambe bianche e magre. Una folta barba bianca. Il suo profilo è un trapezio. Potrebbe essere un bassorilievo inca. Hugo è peruviano. Ha 78 anni. E’ nato a Cuzco. Guardo le sue foto da giovane: un ribelle, barba nera e aggressiva, occhi come lampi. Un Che Guevara andino. Un Che Guevara che ha saputo invecchiare. Hugo ha appena sei anni in più di quanti ne avrebbe oggi Ernesto Guevara. Quasi un miracolo. Dieci anni fa, gli esplose una vena della testa. Ha vinto anche questa battaglia. 
Anni di galera, una condanna a morte, una insurrezione contadina nelle sue valli andini. Operaio, contadino, intellettuale. Studi di agronomia in Argentina. Sei figli, tre mogli. ‘Sono machista, lo sono stato. Potete perdonarmi questa colpa? Ma amo la libertà delle donne’. La figlia nata in Svezia oggi vive in Perù, la figlia nata in Perù oggi vive in Svezia.

La malinconia improvvisa di Hugo


Un esilio. Molti esili. Molte deportazioni. Amnesty International e un forte movimento che lo salvano dalla fucilazione. Troskista (chissà cosa vuol dire?) per decenni. Oggi ecologista. Lotta contro i giganti delle miniere. 
I contadini delle sue valli, La Convenciòn e Lares, furono capaci di mettere in pratica una singolare riforma agraria. ‘Ha dormito sotto le stelle e fra i topi delle prigioni’, ricorda lo scrittore Eduardo Galeano. Ha fatto quattordici scioperi della fame. Un ministro gli inviò in carcere una bara. A un certo punto, il ‘terrorista’, è diventato deputato e poi senatore. Andava nelle aule del potere, vestito da campesino delle Ande. Una corda a sorreggere i pantaloni. Sandali ai piedi. Non ha buon  ricordo di quegli anni: ‘Non mi sentivo utile alla lotta in quei luoghi’.

L'attenzione di Hugo


Scrive ancora Eduardo: ‘E’ ancora quel matto che decise di essere indio, anche se non lo era ed è accaduto che è diventato il più indio di tutti’. Già, 'nosotros los indios', scrive Hugo. Un bianco di Cuzco che ha saputo diventare indigeno. 
Guardo questo vecchio, brontolone come tutti i vecchi, camminare con passo incerto e orgoglioso, traballante e deciso, per i corridoi dell’antico convento. Dice Hugo: ‘Da giovane ascoltavo i vecchi per imparare. Ora ascolto i giovani per la stessa ragione’. E credo  che lo faccia sul serio. 
Lo guardo un’ultima volta mentre sale in macchina con due ragazzi. Guardo i suoi jeans larghi e stazzonati. C’è il tempo per un ultimo sorriso. Intravedo serenità nei suoi occhi. Ha ragione Manuel: ‘Hugo è un uomo che contiene molti uomini’.

L'uomo che ha vissuto dieci vite

 Sì, occorre una musica. Mercedes, che altro? 
http://www.youtube.com/watch?v=LGDPbIaIQD4&feature=player_detailpage

giovedì 19 luglio 2012

Viajeros....







Due ragazze passeggiano per il paese di Lampedusa. Non sono mai stato là. Loro sono spagnole. Valenciane. Di paesi vicini a Valencia. Conoscono bene l’italiano. Camminano in silenzio. Nella metà della mattina. Niente mare. Più tardi, forse. Amano passeggiare senza una meta. Entrano in una cartolibreria. Quei negozi di paese colmi di tutto. Non stanno cercando niente di particolare. Ma l’insegna era una sirena: ‘A Sud’. Cartolibreria 'A Sud'. I libri su uno scaffale non avevano alcun apparente criterio. Come non darci un’occhiata. Il mestiere delle ragazze è tradurre dall’italiano allo spagnolo. Insegnano a tradurre in una università valenciana. Il mio libretto era il più piccolo di tutti, ricordano le ragazze. Ma il titolo non dava pace, si fece notare il libriccino: ‘Viaggiatori Viaggianti’. Parole con l’inganno di averle rubate a Ivano Fossati. Come fosse finito nella cartolibreria A Sud non ne ho idea. Viaggiatori Viaggianti era una edizione da strada. Di Terre di Mezzo, preziosa casa editrice milanese. Era venduto dai ragazzi neri nelle piazza e sulle spiagge. Non doveva essere lì. Non su quello scaffale. Ma c’era. Le ragazze non hanno dubbi: ‘Suonava hermoso, suonava viajeros. Invitava a cercare…’.

Andare. In tanti

Ecco, Lampedusa, isola di speranze disperate per migliaia e migliaia di uomini e donne in fuga, divenne il piccolo teatro di un incastro di casualità. Le ragazze leggono il libro sugli scogli. Lo rileggono a sera. Nella notte del Mediterraneo. E poi anche loro si mettono in cerca. Mi cercano. Mi trovano. Mi incantano con la loro follia. Mi invitano nei loro paesi. Mi chiedono di parlare di Kapuscinki. Uno dei Viaggiatori Viaggianti. Traducono il libro. Come se volessero leggere nella loro lingua. Si intestardiscono. Hanno rifiuti da editori. Insistono. Alla fine trovano qualcuno abbastanza coraggioso….ecco, ora il libro è arrivato sul mio tavolo. Una postina ha abbandonato una busta di plastica davanti alla mia porta. Un gatto si era appisolato sopra.

Il bagaglio
Voy a quedarme aquì todo el tiempo que haga falta. Estoy esperando la casualidad de mi vida, la màs grande….si podrai unir mi vida uniendo casualidades’….ancora ricorda quella ragazza che stava seduta su una sdraio guardando il sole che non si decideva a tramontare. Era un film.

Il libro si chiama Viajeros de viaje….edito da Raima, editore catalano.
San Casciano in Val di Pesa, 19 luglio

lunedì 16 luglio 2012

Il cerchio di San Silvestro


Il cerchio di lettura ai piedi della Rocca
(foto di Marco Turrini)


Il sole è stato perfetto nella scelta di tempo. Ha mandato i suoi raggi, quasi al tramonto, dall'orizzonte del mare, mentre le ultime note del violino di Roberto vibravano ancora sotto le pietre della Rocca di San Silvestro, là dalle parti di Campiglia Marittima, alta Maremma toscana, primo parco archeominerario d’Italia.


In cammino verso la Rocca


Adesso un cerchio si è chiuso. E davvero il cerchio delle persone che ha risalito i sentieri verso la Rocca è stato una ‘piccola cerimonia’. Un omaggio ai minatori che, dai tempi degli etruschi alla contemporaneità, qui hanno vissuto una vita di fatica durissima. La bellezza di questo paesaggio, ai confini della Maremma toscana, è figlia del loro lavoro.  
Nelle sale di Villa Lanzi, Salvatore Settis è venuto a raccontare di questo libro e della memoria di Riccardo Francovich, l'archeologo che fu il padre di questo parco. Poi, con lentezza, siamo saliti a piedi fino alla Rocca. Per raccontare della Guida al Parco di San Silvestro. Scenario straordinario per un libro. 
Questo luogo (le valli di Campiglia, le colline pietrose del monte Calvi, le pendici scoscese del Temperino, dei Lanzi, dell’Ortaccio, dei Manienti) sono davvero capaci di ‘scatenare passioni’. Qui ho visto, con chiarezza, un filo rosso teso fra geologi, archeologi, botanici e gli uomini che del sottosuolo avevano fatto il loro mestiere. Questo ho cercato di raccontare. Di un patto fra gli uomini e la natura. Un patto possibile. Oggi le antiche miniere sono luogo aperto ai visitatori. 'Ci siamo ancora' dice Salvatore Settis. 'Siamo qui, non ci sono più i minatori, ma noi siamo stati capaci di non disperdere la loro eredità'.



La Rocca, il libro, il violino, Roberto e Andrea


‘La rocca di San Silvestro è una delle capitali dell’archeologia medioevale’, ha spiegato Settis. E ancora: ‘Il paesaggio è qualcosa da vivere. Non è solo godimento estetico’. Bisogna calpestare un luogo per amarlo. Bisogna starci dentro. Salire fino alla Rocca di San Silvestro, al tramonto, per parlare di un libro è stato questo omaggio al paesaggio delle colline di Campiglia. Pensate che queste rovine che ci appaiono come un castello dell'alto medioevo sono, in realtà un villaggio industriale dell'anno Mille. 
Il violino di Roberto, l'altra sera, è stata musica che riusciva a essere vento. Spero che le mie parole siano state mormorio di foglie. E che gli occhi di chi ascoltava si siano distratti con il profilo della Rocca. Uno scrivitore di guide fa un lavoro semplice: raccoglie i racconti, li unisce, li tiene assieme con un filo rosso. Per raccontare il parco di San Silvestro sono andato in cerca di appassionati di orchidee, di geologi che già sono ridiscesi al quinto livello delle miniere, di sindacalisti degli anni della miniera, del direttore di quella miniera. Poi ho solo lasciato che la narrazione si sgranasse. E’ accaduto che la guida diventasse quasi un racconto.

Il cerchio

Qualcuno ascolta dalla Rocca

Il violino di Roberto


Io vorrei solo, mentre davvero il cerchio attorno a questa Rocca davvero si chiude (in Africa e al Sud ho imparato l'arte infinita dei saluti), che i vecchi minatori di Campiglia si ritrovassero ancora una volta all’imbocco delle loro miniere. Conosco i loro nomi. Si chiamavano Sonnambulo, Muso Duro, Bimbo Bello, Discorso Lungo, Conte Pula, Arancino…ma c’era anche Sfortuna e Sciupalegno (dai, cambiamogli nome). Erano uomini normali e straordinari. Da loro, con timidezza, vorrei sapere delle pagine che sono stata scritte sulla loro storia. Se dondolassero la testa senza parlare, se ascoltassi qualche bofonchio, ma poi facessero un cenno e porgessero un bicchiere di vino, ne sarei contento….

Il sole e il libeccio

Il saluto a San Silvestro



Un ultimo pensiero prima di veder svanire il sole. A San Silvestro, per sette anni, Francesco ha appeso poesie agli alberi. Adesso Francesco si è tagliato i capelli e non sale più alla Rocca. La vita è così. Non c'è altro da fare. Ma qualcuno, per favore, continui ad appendere poesie a quelle piante che sono ricresciute fra le pietre di San Silvestro.
San Silvestro, 14 luglio

sabato 14 luglio 2012

Il parco di San Silvestro/La bellezza, il bianco e il nero, il sopra e il sotto



Cambio di scenario. Lontano dai Sassi di Matera, dalle foreste delle Dolomiti lucane. Lontano. Forse troppo lontano. A Nord. Altre colline sassose. Piccolo montagne alle spalle del mare. A poca distanza da Piombino, da San Vincenzo, dalla selva di Rimigliano. Alta Maremma. Campiglia Marittima. Stasera presentazione di altro libro. Una guida. Al primo parco archeominerario di San Silvestro. Un altro luogo di grande bellezza. Stasera, sabato (vi avverto sempre all'ultimo, mi piace chi improvvisa e cambia programmi o, forse, è solo pigrizia, inattenzione), quasi al tramonto, la presentazione del libro. Con Salvatore Settis e un violino. Aspetteremo il sole che se ne va ai piedi della Rocca di San Silvestro...sarà il racconto della fatica di generazioni di minatori, sarà una storia di lavoro e sudore. 


Noi oggi abbiamo occhi solo alla bellezza, ma dietro le pietre, la natura, le gallerie (a San Silvestro bisogna andare sotto terra per capire, poi farsi abbagliare dalla luce della Maremma) vi è davvero la vita durissima di centinaia e centinaia di uomini e donne. Le ultime miniere hanno chiuso nel 1976. Un mondo finiva e ne cominciava un altro.  La sapienza di archeologi e amministratori ha saputo creare un sistema di piccoli parchi. Questi sono i luoghi di una bella Italia. Un'Italia di cui avere cura. Un bene comune.

'Bianca e sfolgorante appare la Rocca....'
La copertina del libro
 Queste sono le prime pagine del libro edito dalla Parchi Val di Cornia.


Ha spento la torcia. La guida mi ha avvertito, ma non ha lasciato il tempo per un pensiero. Il buio è improvviso. Un buio denso. Pieno. Potevo toccarlo. Ne ero sfiorato. Ho sentito il respiro della montagna. Un silenzio intenso. Profondo. Nero assoluto. Gocciolio dell’acqua in qualche luogo indefinito. Ero su un confine. Ho atteso che gli occhi si abituassero. Qualcosa prendeva forma. Qualcosa di invisibile. Ascoltavo l’acqua. Un senso di bellezza. Poi si è riaccesa la torcia.



Il rosso e il nero. Un papavero fra le scorie nella valle dei Manienti

Una mattina di autunno, il cielo che sapeva di una burrasca appena passata, sono salito fino alla Rocca. L’antico villaggio dei minatori rifulgeva contro il cielo in tempesta. Appariva come un cono perfetto, una sorta di piramide. Verde scurissimo della vegetazione. Macchie di olivastri fra le pietre. Le mura scintillavano di umidità, quasi riflettessero un sole che non c’era. Il villaggio si imponeva, bianchissimo, sul paesaggio. Non erano rovine, non era archeologia: appariva vivo, abitato, in attesa. Ancora una volta, la bellezza. Ho pensato: qua vorrei vivere. Come un minatore del Medioevo. Come un fabbro senza fucina. Solo per poter guardare, ogni giorno, le pietre del villaggio.


La ricostruzione dell'antica betoniera

I nuovi scalpellini




Queste colline di roccia bianca sono frontiera di un mondo capace di capovolgersi. La crosta della Terra qui è sottile, spiegano i geologi. Ma non del magma sotterraneo stiamo scrivendo in queste prime pagine. Semplicemente capita che nei territori del parco di San Silvestro ci sia un sotto e un sopra. Qui, i visitatori più attenti sono obbligati a continui mutamenti di punti di vista. Cambiano le temperature, le emozioni, le storie. Tutto si raddoppia fra queste colline. E come se fosse un invisibile gioco di specchi che fingono di non riflettersi l’uno con l’altro.
La valle dei Lanzi, la valla del Temperino, la fossa dell’Ortaccio sono impluvi di torrenti invernali. Il massiccio roccioso del monte Calvi e l’altura quasi imperiosa (vorrebbe essere montagna) del monte Rombolo chiudono gli orizzonti. L’intrusione tondeggiante del poggio all’Aione, vero spartiacque fra le valli, appare come un animale disteso su sé stesso, acquattato e mimetico. Quattrocento e cinquanta ettari, è vasto il parco. Sono colline marine, queste. Afferrano i venti del Tirreno. Ne godono del clima temperato. La loro mole fa barriera alle correnti di tramontana. Queste valli hanno una meteorologia a parte. Più dolce. Quasi sempre incerta fra primavera e un primo autunno. Si sta bene, a San Silvestro.

I vecchi edifici dell'Etruscan Mines


La natura, in pochi anni, dopo la fine delle miniere, ha ricostruito una sua smagliante bellezza.
Se guardate le foto del primo ‘900, o degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, la piccola valle del Temperino è una sorta di slavina disboscata, un ravaneto di pietre, una discarica di detriti. Un paesaggio spoglio. Quasi ostile. Oggi, invece, la macchia mediterranea si è presa la sua rivincita: un groviglio di lecci e giovani querciole, un sottobosco di arbusti nascondono le architetture di antichi edifici minerari. In primavera e nell’autunno, la vegetazione è una meraviglia. Voli di rapaci, passaggi improvvisi di cinghiali. Tracce di istrici. Centinaia di orchidee, mappate da appassionati, fioriscono per il tempo di giorni troppo brevi.

Il vecchio pozzo Earle

L’aria del mare sale lungo la fessura della valle dei Manienti. In certe giornate, dagli spalti della Rocca di San Silvestro, lo sguardo può spingersi verso orizzonti che mischiano cielo e mare. Questi paesaggi sono bellissimi. Fai fatica a pensare che queste valli, le pendici delle colline, le radure circondate da rocce siano state il palcoscenico di un’infinita avventura umana cominciata oltre duemila e cinquecento anni fa.

I vecchi macchinari. Segni dell'uomo

L’uomo, qui, ha faticato, ha cercato di strappare minerali alla terra. Era mosso da avidità (cercava rame, ferro, argento, piombo) e da necessità. Gli etruschi, i minatori del Medioevo, gli operai del Rinascimento, infine i contadini di Campiglia e San Vincenzo trasformati in uomini delle miniere hanno avuto tempo per la bellezza di queste valli? Ho un’illusione: che, a sera, siano stati capaci di una tregua dalle loro fonderie e, dal crinale fra la valle dei Lanzi e dei Manienti, abbiano osservato il sole andarsene nel mare. Geologi e archeologi, con ragionevolezza, sanno spiegarci che il popolamento di queste valli e colline ha seguito le tracce delle mineralizzazioni. E’ vero: le mappe degli insediamenti etruschi sono chiarissime, sono sorti lungo la doppia linea dei filoni sotterranei del porfido, ma si può essere altrettanto certi che chi alzò le prime pietre della Rocca sapeva di aver scelto un luogo superbo dove vivere. E’ talmente bello questo villaggio che il tempo e gli uomini lo hanno risparmiato e lui, come ricompensa, ha deciso di cristallizzare il proprio splendore.
San Silvestro, 14 luglio

giovedì 12 luglio 2012

Qualcosa è accaduto a Matera

Come spesso mi capita, questo non è un post. Contravvengo alla regola 'giornalistica' che mi ero dato per questo blog. Questa è una piccolissima storia personale di un gruppo di amici. Lo è anche se le parole che leggerete sono state lette nella più bella piazza di Matera. Chiedo scusa a chi non capirà, ancor oggi non riesco a spiegarla, basti sapere che qualcosa è davvero è accaduto a Matera.

Un gruppo di amici ha dimostrato che 'si può fare'. Senza riunioni, senza sponsor, senza permessi, senza patrocini, senza strategie di comunicazione. In fondo è stata davvero una storia di 'semplicità'. 'Che è difficile a farsi'. Per otto sere abbiamo occupato terrazze, angoli di piazza, stanzoni di ex-asili. Ci siamo portati dietro sedie, microfoni, chitarre, violini, tamburelli. Alla fine è apparso persino un contrabbasso. Amici e amiche hanno letto, cucinato, dato una mano, suonato, raccontato. Ci hanno seguito in una peregrinazione. In un viaggio strampalato. E' stato un gran bel gioco. Sono apparsi i cevapicic alla serata bosniaca, l'humus in terra di Palestina, formaggi a Pomarico. Ho visto una famiglia mettere le sedie in strada per ascoltare meglio. Ho visto chitarre, violini e tamburelli accordarsi in qualcosa di strano e fuggevole.
Otto presentazioni di libri. Allora, è vero: i libri possono uscire per strada e far parlare di sè.

Lascio dietro a me nostalgie che non conoscono rimedio, una foto dello 'strappo' del Carro (anche questo: scusatemi voi che di Matera non siete e io che non ho voglia di spiegare tutto) a Palazzo Lanfranchi (fini al 31 luglio, mostra dei 'pezzi' strappati al Carro) e dieci foto, fino ad agosto, nella preziosa Osteria Malatesta. Non è poco. Non è poco per me. Ed è senza trucchi. Come senza trucchi, scende il sipario. Ogni cosa ha una sua fine. Ci si prende per mano, si sospira, si sente l'emozione diventare sorriso, pianto, felicità. Il cuore finalmente rallenta. E allora, inchino di gratitudine. Un inchino per Matera.


Franco e i suoi Sassi

 Questo è stato il saluto di Adele. In piazza San Rocco. 

Ci sono esperienze che, semplicemente, meravigliosamente o inaspettatamente, ci capitano. Ci trovano ad accoglierle confusi, curiosi, a volte impauriti. Quello che può succedere da lì in poi sta a loro: sono loro che ci hanno sedotto, loro che ci sono cadute addosso, noi non le avevamo mica messe nei piani.

I ragazzi in attesa del Carro della Bruna
Con l’iniziativa I LIBRI SEMPLICI è successo così: ha fatto tutto da sola, ha preso e mi ha cercata. Confusa, curiosa, un po’ impaurita (fondamentalmente di togliere tempo e disponibilità totale alla cura di mia figlia Sonia) ho detto ma si, proviamo.

Tutto è iniziato quando ho invitato Andrea a mostrare una foto per Malatesta Art Project. Era ottobre quando mi scriveva: “Culliamo l’idea possibile-impossibile di passare un paio di mesi a Matera fra maggio e giugno. Si, facciamo questa mostra al Malatesta…facciamo due foto 70x100”. E poi: “Potremmo raccogliere strumenti semplici: scacciapensieri, cupacupa, guira…potremmo scrivere le storie…potremmo…intanto facciamo questa mostra…troviamo alibi e scuse”. E continuando: “Per la mostra penso a una foto grande e a quattro piccole per storia. Due storie. Dobbiamo solo decidere se le storie sono tutte lucane: Bruna e Maggio di Accettura? Oppure Bruna e Mawled di Tripoli? Oppure Bruna e…”. 




Piazza san Rocco
La terrazza di Franco e Mariella



La mia risposta: “Bruna e Mawled di Tripoli, il compleanno di Maometto e i boccoli della Santissima. Maometto e Bruna, belli insieme, già me li immagino”. E ancora Andrea: “Provo…dammi tempo…a confondere i suoni del Mawled con i boccoli della Bruna…poi però invitiamo le donne che vestono la Madonna…ci verranno al Malatesta? Si, ci vengono”.





Piazzetta San Pietro Caveoso
Il cortile del laboratorio di Beppino

Passano tre mesi, nel frattempo, nei giorni del Natale, ci siamo incontrati in Toscana e durante una cena nella sua casa a San Casciano abbiamo parlato “seriamente” della possibilità di presentare i suoi libri a Matera e dintorni, l’idea era nata la notte di Capodanno all’Aia Santa di Vicchio.



Le Fucine dell'Eco, l'ex-asilo dei Sassi
Il circolo degli scacchi di Pomarico



Ecco la email datata 20 gennaio:”Settimana della vanità. Qui dovrai perdonarmi senza perdonarmi. Ma se davvero organizzassimo una simples-week attorno alla Bruna? La mostra (la foto grande e le quattro piccole) e poi una serie di presentazioni fra Matera e Modugno…che so: Kapu alla libreria, la Bosnia, visto che si parla di cibo all’osteria, la Dominicana a Bari, i Viaggiatori viaggianti a Modugno. Manca il Che (se sarà uscito) e la Palestina. Il Che ad Accettura e la Palestina al mare. Troppa fatica ma mi piace pensarlo. Poi finalmente cambio mestiere e vado a fare l’apprendista di cartapeste. Devo trovare la foto di Franco Palumbo che cammina verso i Sassi”.



Piazza della Cittadinanza Attiva

Via Ridola, di fronte alla Libreria dell'Arco


E’ così che è nata la rassegna I LIBRI SEMPLICI, Andrea non credeva possibile che traducessimo in realtà quell’idea invece…eccoci qua. Alla fine di questa esperienza posso dire tante cose, su tutte, che quel timore di sottrarre energie alla cura di Sonia si è rivelato infondato: dopo tutto questo viaggiare la mia immaginazione si è arricchita di storie, suoni e colori che ispireranno favole da raccontarle.
Matera 7 luglio 2012

lunedì 9 luglio 2012

I Libri Semplici.8/Le pietre e i melograni di Matera-Mostar


In attesa in piazza San Rocco
(Foto di Franco 'Zippo' Zuccaro)


La voce di Adele, le chitarre di Leo e Piero

La prove di Leo

L'introduzione di Adele

La piazza

Adele e Andrea

Daniele e Piero

Com’è bella, nel tempo in cui il cielo si fa blu-notte, la chiesa di San Giovanni Battista. E’ una basilica spiazzante. Ingresso su una navata, il suo orientamento disorienta, è come se cambiasse un mondo fra la sua facciata esterna e le pietre del suo interno. A volte, qualcuno lascia che canti soffusi si disperdano fra le sue colonne. Allora è saggio sedersi sulle panche della chiesa.
Piazza San Rocco è la più bella fra le piazze di Matera. Vi è un albero. Un carrubo. Ora vi sono stati messi anche due giovani melograni. I ragazzini giocano a calcio sul sagrato della chiesa. Aldo e Angelo vi hanno aperto il bar Ghavè. La bottega di terracotte di Raffaele è un passo. L’osteria Malatesta a meno di venti metri di distanza. Roberto, il poeta dismesso, ogni giorno passa da qui. Questo è un crocevia perfetto. Il turismo e la folla del passeggìo non arrivano fino a piazza San Rocco. E’ luogo per distratti e per sognatori questa piazza dalla forma indefinibile. Qui, davanti alla chiesa di San Giovanni Battista, finisce il viaggio dei Libri Semplici.

Il caffè Gahvè

Si comincia


Aldo e Angelo non ci pensano su. Le sedie bianche e i tavolini del loro bar diventano platea e palcoscenico. Non capisco subito che Gahvè sta per caffè. Avrei dovuto intuirlo. Di questo parliamo stasera. Del caffè e del tempo lento dei Balcani e di Matera. Franco e Massimo preparano i cevapicic, è serata balcanica questa. Andiamo in Bosnia-Erzegovina, andiamo a Mostar. Penso che le pietre della città del fiume Neretva e quelle di Matera sono uguali. Penso alla bellezza del melograno nel biancore accecante delle pietre di Mostar. Guardo i due melograni di piazza San Rocco. Siamo certi che stasera non verrà nessuno. Siamo stanchissimi. Quasi vorremmo una serata solo per noi. Leo, Piero e Daniele cominciano le prove. Marco rilegge le pagine del libro. Vuol essere attore indisciplinato stasera. Marco è un archeologo e uomo di teatro. Adele, a sorpresa, vuole presentare.
Viaggio in Erzegovina

Il libro è la storia dei contadini e del cibo dell’Erzegovina. Racconta della resurrezione della valle delle Neretva. Parla della forza delle donne che, ogni giorno, compiono il miracolo del formaggio. Dice di Enver che pianta sorbi, di Ante che sale dai contadini serbi a comprare formaggi, di ragazzi che si ostinano a tornare nei campi. Rileggo quelle pagine che, tre anni fa, abbiamo scritto con Mario. Guardo nuovamente, dopo mesi e mesi, quelle foto. E penso che è stato un buon lavoro. Viaggio in Erzegovina è stato pubblicato da BuyBook, un editore di Sarajevo. Quasi introvabile in Italia, solo attraverso OxfamItalia (l’organizzazione non governativa che decise questo lavoro) è possibile trovarlo. Era saggio pensare che le strade di una convivenza possano passare per la terra, per il cibo, per i campi.

Andrea e Marco

La lettura di Marco

Arriva la sera

L'offerta dei cevapicic

Non so che cosa accada. Noi aspettiamo l’ora nel quale il sole scompare dietro il profilo di Matera. La notte è lenta. Sono bellissime queste serate. Le luci della chiesa e della piazza ancora non si sono accese. I ragazzini gridano inseguendo il pallone. Accade semplicemente che le sedie si riempiono, alcuni vicini ne prendono altre da casa e si siedono davanti alle porte, chi passeggia con il cane si ferma, qualcuno svicola da piazza Vittorio per venire a vedere cosa c’è. C’è folla. Adele legge e racconta la strana storia di queste serate. Ricorda cose che noi tutti abbiamo dimenticati: I Libri Semplici, la mostra di fotografie all’osteria Malatesta, sono nate in una notte d’inverno nel cascinale di Aia Santa a Vicchio.  Poi, senza volere, hanno preso forma e realtà. Annulliamo i chilometri, le distanze. Piero, Leo e Daniele sono in grande forma. Marco ha sapienza con la sua voce. Uomo di Palermo migrato a Matera. Conosce i suoni delle piazza. Sa come assecondarli. Sa come far convivere le grida dei ragazzini, il chiacchiericcio dei passanti e la sua voce. Legge e trasforma le parole. Dà dimensione a quanto abbiamo scritto io e Mario. Si avverte nell’aria il sapore del formaggio, il profumo del pane, il gusto intenso dei fagioli poljiak. Si avverte nell’aria che è una bella notte.

Arriva la sera

Si accendono le luci di San Giovanni

Piazza San Rocco


Racconto della guerra e della pace. Delle ferite e delle sue cicatrici. Dico della testardaggine di Aleksa, donna serba, che a Mostar, offre, nel suo bar, birra croata nei quartieri musulmani. Ricordo il contadino croato che pianta nuovamente ciliegi all’ombra dei minareti. Rivelo che i vitigni dei vini bianchi di Erzegovina sono stati salvati da un agronomo musulmano. Spiego che a Blagaj, sorgente di un fiume carsico, ben prima della Rivoluzione Francesce, un sovrano musulmano emanò un editto per difendere i diritti dei cristiani. C’è speranza nei Balcani.

Marco


Stasera, in piazza San Rocco, ultima notte, la speranza sembra diventare storia concreta. Passa l’assessore alla cultura di Matera e, per un po’, si ferma. Ci sono giornalisti. La gente che si è fermata per caso non se ne va. Si incuriosisce. A volte, davvero, accadono piccole cose perfette.

La sera, a Matera

La sera, a Matera


E se, l’anno prossimo, Terre di Mezzo, Terre del Sud….

Blue-night

Il ballo di Sonia e Julie


Tutto è facile. Fine. Ultima serata. Marco legge l’ultima pagina del libro. La gatta mammona appare improvvisa. Sound-system dei Sassi. Vendiamo i libri. Salta qualsiasi ordine. Lascio le mie firme. Parlo con i passanti. Siedo su un gradino. Finisce qui. Senza alcun trucco. Mani che si sfiorano. Guardo la bellezza della chiesa.

Matera, 7 luglio