venerdì 30 marzo 2012

Luoghi di resistenza inconsapevole/Il barbiere di via Euganea


Pino nel suo negozio


Ammiro commosso il suo negozio. E nel suo viso trovo somiglianze con Jean Gabin. Vecchio gilet a quadri, una cravatta rossa con strisce oblique, sigaretta in bocca. Pino si guarda attorno e non condivide il mio piccolo entusiasmo. ‘Una porcheria’, dice della sua bottega. Non è una sua parola, immagino. E’ una mia traduzione. Pino parla un veneto stretto e, a volte, io ho bisogno di un interprete per capire. Pareti con perlinato, vecchie stampe di Venezia che devono essere lì da decenni. Siamo in via Euganea. A Padova. Vado da Pino a tagliarmi i capelli. Forse sono l’unico cliente ‘straniero’. No, c’è anche un ragazzo greco. Ma lui parla perfettamente il veneto, vive qui da molti anni.

Pino al lavoro


I clienti di Pino sono gente di ‘fuori’. Vecchi abitanti del centro storico di Padova che ora vivono nelle periferie. Ma al barbiere di fiducia non si rinuncia. Perché qui si viene anche, e forse soprattutto, per parlare. Per tenere allacciato un filo rosso. Vengono i figli di quei vecchi abitanti di via Euganea. Strada strana, quasi un confine. Case dell’antica nobiltà padovana e, di fronte, case popolari. Un tempo qui c'era perfino una generosa casa di appuntamenti.

Pino è un barbiere involontario. Controvoglia. Colpa di un maestro che, sessanta e più anni fa, decise che quel ragazzino di dieci anni, cresciuto nelle campagne di Montà, appena fuori Padova, non era adatto alla scuola. ‘Che impari un mestiere’, disse al padre. Che si rivolse a un barbiere sotto casa e così Pino se ne andò di negozio in negozio a vendere rasoi e creme da barba. Arrivò in via Euganea e vi rimase. Apprendista in una bottega. Il resto lo potete immaginare. Da 58 anni, Pino sta qui. E’ in pensione, ma ogni giorno tira su il bandone. E, pensate, dice di non aver mai amato questo mestiere. Ma poi non ha mai smesso.

Pino


Niente tagli scolpiti. Forbici e pettine. Macchinette tosabarba. Niente concessioni a una moda impossibile. Qui, ancora, si viene perché c’è complicità. Quasi amicizia. Perché dopo il taglio si va a prendere il caffè assieme. Nell'attesa si chiacchiera o si legge Tex. Vengono gli studenti fuori sede per risparmiare qualche euro. Poi tornano e scattano anche loro fotografie. Nostalgie di un mondo che non hanno conosciuto? ‘Un tempo fra il centro e qui c’erano almeno novanta negozi. Vada a contare quanti ne sono rimasti’, dice Pino. Avverte che smette. Troppe spese tener aperto il negozio. Ma poi ogni mattino è lì. Saluta i suoi vicini, il ragazzo greco, e si mette a spazzare il negozio.
San Casciano in Val di Pesa, 30 marzo

Devo una spiegazione. Molti anni fa proposi a una piccola rivista un rubrica che volevo chiamare: ‘Luoghi di resistenza inconsapevole’. Volevo raccogliere storie di gente che stava in questo mondo con spirito leggero. Faceva un lavoro (non importa quale), ma non stava a tutte le regole del mercato. Doveva sopravvivere, ma intuiva che le ‘relazioni’, il tempo donato, le amicizie fossero ben più importanti della fretta, dei soldi per i soldi, del ‘il tempo è denaro’. Volevo, però, che questa ‘resistenza’ fosse inconsapevole. Non volevo andare a trovare chi, per scelta ‘ideologica’, si metteva in una nicchia ai margini del mercato. Alla fine, si corre sempre il rischio di esserne un frammento. 
La rubrica non si fece. Non ho grandi strumenti per andare in cerca di questi luoghi di resistenza. Ma a volte mi ci imbatto. E allora ne scrivo su questo blog. Corro anch'io un rischio: di incontrare solo vecchi artigiani che insistono nei loro mestieri o di relegarmi in un ‘folclore’ sterile. Spero che non sia così. A volte trovo giovani come il libraio di Castel del Piano che hanno il coraggio di metter su realtà controcorrente. A volte conosco Pino e allora mi taglio i capelli. Non saprei dove altro andare. Gli altri miei barbieri stanno in Irpinia e in Aspromonte. 


martedì 27 marzo 2012

Incontri in Maremma/Isidoro Falchi

Isidoro Falchi (da wikipedia.it)


Per qualche settimana ho viaggiato per la Maremma. Terra di Toscana. Per un libro da scrivere.
Si fanno incontri in Maremma. Gente solitaria, sopra le righe, brusca a volte. Con tratti che, a noi, a volte, paiono ambigui. Di Luciano Bianciardi, il mio accompagnatore prediletto, già sapete. Ma quanti altre amicizie ho stretto in questo viaggio. Alcune sorprendenti. Adesso che il lavoro sta finendo, vorrei ricordarle.

Isidoro Falchi, per esempio. L’ho incontrato sulle spiagge di Baratti. Stava lisciandosi la folta barba nera. Lo notai per quello. Mi piacque subito. Se ne capiva la tenacia, l’ardore, la forza polemica. Mi piacciono gli uomini ai margini. Elegante come poteva esserlo un medico di campagna a fine ‘800. Gli occhi sfavillanti. Nel 1889 quest’uomo (politico di paese a Campiglia Marittima, un passato di ribelle per l’indipendenza italiana, massone, volontario con Garibaldi nel 1860) era già qualcosa di più di un archeologo dilettante. Aveva già una discussa fama nel mondo degli etruscologi. In quell’anno accorse sulla spiaggia di Baratti perché durante i lavori di sterro di una strada poderale era apparsa una lastra di arenaria. Lui sapeva già di cosa si trattava. Era la copertura di una tomba a cassone. Era riapparsa la prima traccia della città etrusca di Populonia, l’unica città etrusca sul mare. Isodoro Falchi aveva un destino da Schliemann toscano. Pochi anni prima aveva ritrovato Vetulonia, la città scomparsa dell’antichità.

Vetulonia



Aveva già quasi cinquant’anni, quando nel suo studio di medico, un amico mise sul suo tavolo tre monete d’oro. Isidoro si accorse subito delle quattro lettere incise sul metallo: vi era scritto Vatl. Era molto più che un indizio. Quelle monete provenivano dalla zecca di Vetulonia, la città del mistero, la città cercata da sempre da una moltitudine di cercatori di tesori. Vetulonia era l’enigma archeologico dell’800 italiano. Eruditi e sapienti delle università si stavano accapigliando sulle differenti ubicazioni della città svanita nel nulla. Vetulonia era già ‘riapparsa’ in ben otto diverse località. Falchi ingaggiò un duello all'ultimo sangue con Dotto De Dauli. Questo poliedrico deputato, massone pure lui, diviso fra Garibaldi e Mazzini e aspirante a una rielezione nel seggio di Grosseto, sosteneva che Vetulonia fossa a Massa Marittima. Ci volle una commissione regia per metter fine alla disputa e dar ragione a Isidoro. Avrei voluto raccontare le battaglie fra Dotto e Isidoro. 

La strada basolata di Vetulonia
Isidoro Falchi, penultimo di diciassette figli, originario di Montopoli in Valdarno, laurea in medicina a venti anni, autodidatta dell’archeologia, precedette gli accademici del tempo. Il 27 maggio del 1880, giorno di Corpus Domini, montò i cavalli alle stanghe del suo calesse e si diresse verso le colline di Colonna di Buriano. Là il suo amico aveva trovato le monete di Vatl. Forse bastò davvero uno sguardo a Isidoro Falchi per convincersi di aver trovato la pista giusta. Dall’alto del paese si dominavano le piane prosciugate di quella che era stato il grande lago Prile. Vetulonia era una città di mare. Isidoro sfiorò con una mano pietre colossali. Il paese medioevale era nato su impressionanti rovine etrusche. Vetulonia era riapparsa.

Dall’alto del vecchio paese si dominavano gli acquitrini superstiti del grande lago marino di Prile: un tempo era una baia, un golfo ben riparato, luogo perfetto per il porto di una potente città. Isidoro passeggiò, con stupore, fra le case umide di Colonna e sfiorò con una mano pietre colossali: il paese medioevale sembrava nascere da impressionanti rovine etrusche.
San Casciano in Val di Pesa, 27 marzo





domenica 25 marzo 2012

Eritrea-Etiopia/Giochi pericolosi

Questa è la guerra fra Eritrea ed Etiopia (battaglia di Adi Kwala, 2000)

Quanto sono lunghi ventuno anni? Da oltre due decenni Isaias Afewerki detiene un potere assoluto in Eritrea. In Etiopia è Melles Zenawi a guidare il paese dal 1991. Tre elezioni lo hanno confermato nella carica di prima ministro: nel 2005 finirono nel sangue, nel 2010, il partito di Zenawi ha lasciato solo due seggi alle opposizioni, la sua vittoria è stata assoluta. Prima del 1991, prima di conquistare Asmara e Addis Abeba, Isaias e Melles erano alla testa da anni ai rispettivi fronti guerriglieri. Vinsero assieme una disperata guerra di liberazione. Solo grazie alla loro alleanza eritrei e tigrini riuscirono a sconfiggere gli eserciti del Negus Rosso Hailé Mariam Menghistu. Allora, ventuno anni fa, a tutti noi sembrò che una nuova stagione si aprisse in Africa. Isaias e Melles, si diceva, erano imparentati fra loro. Più che parenti apparivano amici fraterni. Avevano una storia comune. Da giovani erano comunisti ortodossi, in quegli anni apparivano incorruttibili leader pragmatici. Erano i tempi dell’afrottimismo.

La frontiera fra Etiopia ed Eritrea


Quante illusioni si fanno i bianchi in Africa! L’amicizia fra Isaias e Melles finì, ognuno si sentì tradito dall’altro e il sogno della pace in Corno d’Africa andò in frantumi. Centomila fra etiopici ed eritrei persero la vita in una nuova, insensata guerra combattuta fra il 1998 e il 2000. Da allora, lungo la frontiera fra Etiopia ed Eritrea si vive una tregua precaria. Sono troppi dodici anni di tensione? Le risorse di due fra i più poveri paesi della Terra sono state divorate da macchine militari in perenne attesa. Lungo i confini sono schierati eserciti in armi. L’Eritrea si è chiusa a riccio su sé stessa. In una tirannia cupa. Le Nazioni Unite ne hanno decretato un embargo militare. Asmara, allora, dicono gli osservatori internazionali, stringe patti con l’Iran e la Nord Corea. Gli Stati Uniti e la Cina sono i più forti alleati di Addis Abeba. Geopolitiche delle periferie. L’Etiopia ha terreni agricoli da vendere (e lo fa in maniera impressionante) e risorse minerarie (potassio e oro in Dancalia, petrolio nella regione somala).

Soldati eritrei in marcia (adi kwala, 2000)


Isaias e Melles stanno invecchiando. Anche se nelle gerontocrazie del potere sono ancora giovani. Isaias ha 67 anni. Melles ne ha dieci di meno. Isaias sa che il suo potere non è infinito. Il mandato di Melles (l’ultimo?) scade nel 2015. Ho un pensiero: nessuno dei due vuole lasciare il potere sapendo che il vecchio amico, diventato nemico mortale, è ancora al comando del paese rivale. La guerra fra i due paesi è anche una questione personale. Non c'è saggezza in questa sfida.

Questa è la guerra fra Eritrea ed Etiopia (battaglia di Adi Kwala, 2000)


Il Corno d’Africa non è mai stata terra di pace. Lo abbiamo sperato per pochi anni. A gennaio, ribelli dell'Arduf, un fronte rivoluzionario che, anni fa, cullava l'illusione di uno stato afar, popolo dei deserti di lava fra Etiopia, Eritrea e Gibuti, hanno aggredito un gruppo di turisti occidentali in viaggio in Dancalia. Cinque di loro sono stati uccisi. Altri due vennero sequestrati. Sono stati liberati ai primi di marzo. Dieci giorni dopo, a metà marzo, è scattata la rappresaglia etiopica: attacco in territorio eritreo contro basi dell’Arduf (almeno così sostiene il governo di Addis Abeba). Nessuno ha fatto un bilancio delle vittime. Sono ossa nel deserto. L’Eritrea esita, ma alla fine annuncia che non ci sarà alcuna reazione. Si limita ad accusare gli Stati Uniti di essere dietro all’attacco etiopico. Ad Asmara sanno bene che questa volta una guerra diretta fra i due stati sarebbe senza scampo per loro.

Soldati eritrei sul confine (2000)

Soldati etiopici sul confine (2011)


Le opposizioni eritree, anche se spalleggiate dall’Etiopia, appaiono incapaci di esprimere leader in grado di governare il piccolo paese. Apparentemente Addis Abeba non ha nessuno da mettere al posto di Isaias. L’Eritrea evita scontri diretti e preferisce appoggiare gruppi armati dentro i confini dell’Etiopia: fastidiose e sanguinose punture di spillo sulla pelle del paese. Addis Abeba è impaziente: in Somalia, negli ultimi giorni, dopo aver subito attacchi da parti degli islamisti di al-Shabab (le Nazioni Unite accusa Asmara di armarli), l’esercito etiopico ha replicato marciando su basi dei gruppi fondamentalisti.

I giochi in Corno d’Africa sono improvvisamente diventati pericolosi.
San Casciano in Val di Pesa, 25 marzo

ps: in questo momento, una domenica mattina, primavera, a radio tre una ragazza dalla dolce voce degli altopiani racconta della nostalgia di Addis Abeba e dell'Etiopia. Cercate questa voce, è su file-urbani di Radio Tre. E' bellissima. Etiopia ed Eritrea sono due paesi bellissimi.

mercoledì 21 marzo 2012

Luoghi di resistenza (in)consapevole/Il fotografo di Sovana


Alessandro al lavoro
Alessandro è ancora sicuro: ‘E’ il più bel mestiere del mondo’.

Ho incontrato Alessandro Česka di fronte al piccolo viale di accesso al Duomo di Sovana, celebre paese, dalle origini etrusche, della Maremma. Alessandro aveva la testa infilata sotto il telo nero di una straordinaria macchina fotografica dell’800. Poi armeggiava con secchi di acidi. Era incerto: la sua carta, protetta da una scatola nera, doveva aver preso luce e lui stava facendo delle prove.
Alessandro cerca di spiegarmi: la macchina è una kalotipia del 1861. L’ha fabbricata venti anni fa. In Spagna.

Alessandro Ceska, 63 anni, magrissimo, guance solcate da due rughe profonde, capelli lunghi e bianchi, baffi ingialliti dal tabacco, è un girovago-stanziale, un gitano sedentario. Suo nonno proveniva dalla vecchia Cecoslovacchia. Lui è nato a Merano. Oggi abita, con la compagna e tre figli, a Pitigliano, paese del tufo.

La foto


Ci siamo fatti fotografare da Alessandro. Abbiamo tolto orologi, occhiali. Via ogni traccia di contemporaneità. Il fotografo ci ha vestito come migranti ottocenteschi. Una vecchia valigia ha nascosto le nostre scarpe. Alessandro ci ha spiegato di tenere la schiena ben dritta. Sguardi severi, labbra serrate. Eravamo bellissimi. Quindici euro per una foto. Cinque per una copia. Un gioco. Un ‘emozione. Valeva tutti i soldi spesi.

Devo raccontarvi anche di Adolfo Denci, il fotografo che, meglio di altri, ha saputo narrare la Maremma dei primi decenni del ‘900. C’è una sua foto che ritrae la grande piazza di Pitigliano. L’intero paese sembra guardare il fotografo. Tutti sono rivolti verso di lui. Nessuno è fuori fuoco. Nessuno è distratto. Adolfo li ha incantati. La foto è superba. Perfetta. Questa foto è magia.

Ecco. Alessandro, a modo suo, è un mago. Come il vecchio Adolfo, che morì, nel 1944, sotto le bombe nella sua Pitigliano.

In un'altra vita, Alessandro ha curato i denti. Suo padre era dentista a Merano. La sua vita avrebbe potuto avere una benestante tranquillità. Ma come poteva un giovane vivere con normalità gli anni ’70?  Quando addosso si hanno inquietudini inspiegabili. ‘A quel tempo si andava in India. Oppure a vivere in campagna. Un giorno decisi di cambiare vita. Via dall’università. Da una professione sicura. Lasciai mia moglie. E decisi di ricominciare altrove’. Alessandro era già stato a Pitigliano. Decise di tornarvi. Voleva vivere in questa Maremma lontana. Questa volta è stato il paese del tufo a compiere una magia nei suoi confronti. 

Pitigliano


Non sono stati anni facili. Le ribellioni autentiche sono storie complicate. Anche se una donna tedesca decide di fermarsi a vivere con Alessandro. Il dentista mancato non ha lavoro. Nascono i figli. La campagna non dà da vivere.
Ma, a  volte, accadono incontri. Durante un viaggio, Alessandro arriva a Peniscola, città di mare della Spagna. E la sua vita cambia ancora. Per qualche ora, osserva un vecchio fotografo che, armato di una macchina dell’800, scatta immagini antiche alla gente in vacanza.
Alessandro lo avvicina, parla con lui, lo convince. Capita così che rimane in Spagna per quasi due mesi. Per imparare. ‘Non è che quel fotografo mi abbia dato molti consigli. Mi diceva: se c’è più luce, diminuisci i tempi. Altrimenti fai il contrario’. Ma assieme costruirono una grande macchina fotografica. In legno e tela. A Barcellona Alessandro trova vecchi obiettivi tedeschi. Sono splendidi e complessi. Ora può tornare in Maremma.

Da venti anni, in estate, lo trovate a Sovana o sulla grande curva della Madonna alle Grazie, là dove appare Pitigliano.

Il momento dello scatto


La macchina invecchia. Si blocca il flessibile. E così Alessandro fa un altro passo indietro nella storia. Ora calcola i tempi contando mentalmente i secondi. Apre e chiude l’obiettivo con un tappone nero. Scatta per primo un negativo. Poi rifotografa l’immagine rovesciata. Infine l’immersione in un secchio con l’acido rivelatore. Un attimo di apprensione. Poi rassicura i suoi 'clienti': 'La foto è venuta'. Occorrono ancora cinque minuti per il bagno nei rivelatori e nel fissaggio.

A volte lo cacciano, Alessandro. Un tempo si arrabbiava. Ora prende in spalla la sua macchina e semplicemente cambia posto.

Ha un carrellino dove mette le valige con i vestiti e le macchine fotografiche. Non sa usare un computer.

Ha chiuso la Ilford e la Kodak. Da anni è scomparsa la Ferrania. Niente più carte Agfa. Alessandro cerca le carte fotografiche alla Tetenal o alla Fomaphoto. Produttori dell’Est europeo.

Va ai festival degli artisti di strada, Alessandro. A Pelago, a Pennabilli, a Sant’Arcangelo di Romagna. Fotografa gli attori e i giocolieri. Con gli abiti di scena.

Una volta un direttore di banca lo volle a un grande incontro di banchieri. Li chiese solo di vestirsi in maniera elegante. Non so come andò. Alessandro è elegante come un girovago.
Una donna di Sovana, quando lo vede stare lì molte ore, gli porta il pranzo. Non sono molti a farsi fotografare negli anni delle foto digitali.

La figlia di Alessandro fa la costumista. Lavora nel cinema.

Castello Aldobrandeschi a Sovana


Non vede l’ora che arrivi l’estate, Alessandro. Per lavorare. Per il benessere che porta il caldo. Per stare all’aria aperta.

Mi lascia un biglietto da visita. Sono tutti diversi uno dall'altro. Sul mio vi è scritto: ‘Disponibile per matrimoni, divorzi, stages, lezioni di dagherrotipia. Dall’alba al tramonto’.

Vi lascio il suo numero  di telefono: 338.9103985. E un sito di flickr, creato da una ragazza di Pitigliano, dove potete vedere le sue foto: www.flickr.com/photos/lamiamaremma/sets/72157626947447771/

Se state al gioco, Alessandro sa donare magia.
Sovana, 19 marzo

venerdì 16 marzo 2012

Etiopia-Eritrea/ Guerra sul confine

Soldati etiopici sul confine con l'Eritrea
E poi, improvvisamente, arriva la notizia dell'attacco etiopico alle basi dell'Arduf in Eritrea. L'Arduf è lo storico fronte ribelle degli afar, popolazione dei deserti del Corno d'Africa. La maggioranza dei suoi dirigenti hanno accettato, negli anni '90, accordi di pace con il governo di Addis Abeba. Una fazione dissidente non ha mai deposto le armi.

Ieri Shimeles Kamal, portavoce del governo di Addis Abeba, ha annunciato l'azione di guerra dell'esercito etiopico.
Attacco in territorio eritreo. Nelle località di Ramid, Gimbi e Gelhabe. Introvabili, almeno per me, sulle carte. L'Etiopia sostiene di essere entrata in territorio eritreo per 16 chilometri.
Pochi giorni fa, l'Arduf aveva liberato due ostaggi tedeschi catturati durante un sanguinoso agguato a turisti accampati in cima all'Erta Ale, il vulcano più celebre della Dancalia.
Niente è possibile sapere sulla sorte di altri due ostaggi etiopici.
A gennaio l'attacco dell'Arduf aveva colpito per la sua violenza: era diretto contro turisti occidentali e cinque di loro erano stati uccisi. Gli afar sostennero di aver ucciso anche sedici soldati etiopici. Addis Abeba ha sempre smentito quest'ultima notizia.

Adesso è scattata la rappresaglia etiopica.
Addis Abeba si affretta a precisare: 'Non è un azione militare contro l'Eritrea'. Ma, allo stesso tempo, conferma di essere certa che l'Arduf sia armato e addestrato da Asmara. E che abbia le sue basi in Eritrea. L'Arduf ha sempre negato di ricevere aiuti da Asmara. Certo è che gli attacchi partono da oltreconfine.
L'Etiopia annuncia che l'azione militare continuerà fino a quando sarà necessario.

Il governo eritreo, a diverse ore dall'attacco, avvenuto fra mercoledì e giovedì, non ha rilasciato dichiarazioni.

E' la prima volta, dalla inizio della lunga e bellicosa tregua fra i due paesi, firmata al termine della guerra combattuta fra il 1998 e il 2000, che truppe etiopiche entrano in territori eritreo.
In questi anni non sono mai cessate le scaramucce di frontiera e mai è stata avviata una vera trattativa di pace.
Il timore è che ci sia voglia di resa di conti fra i dirigenti dei due paesi.
In Dancalia, dove tutto questo sta avvenendo, si trovano multinazionali minerarie (canadesi, indiani, statunitensi) alla ricerca di potassio, oro e petrolio. L'Arduf, nei suoi comunicati, aveva condannato la svendita delle loro terre.
Padova, 16 marzo

giovedì 15 marzo 2012

Sala d'attesa




E’ vero, non prendo un treno da un po’. Quindi non so quando sia accaduto.

Scopro solo oggi che alla stazione di Firenze non c’è più la sala d’aspetto. Certo, non potevano togliere la scritta voluta da Giovanni Michelucci come decoro di una delle più belle stazioni fiorentine. E quindi accade che chi ha ancora tempo prima della partenza si diriga verso la vetrata sotto quella scritta che indica il luogo dove poter attendere seduti il treno.

Niente da fare. Non si entra. Ingresso sbarrato. La vetrata si apre solo a chi, a esempio, possiede una preziosa Carta Freccia Oro. Agli altri è negato perfino la possibilità di chiedere informazioni. In quella sala non si entra, se non si fa parte di un club. Peccato che dietro quella vetrata si trovasse la vecchia sala d’aspetto.

Dunque, alla stazione di Firenze hanno tolto la sala d’attesa. Un buon modo per accogliere i turisti. Alla stazione non ci si può sedere. Hanno un buon spirito di accoglienza i dirigenti delle Fs. Hanno a cuore i viaggiatori. Immagino un giorno di inverno e i viaggiatori ospiti di Firenze che gelano al freddo e non sanno dove aspettare il treno.




Trovo la maniera di entrare seguendo un socio di quel club. Dribblo la porta a vetri. Provo a chiedere. Da dietro il bancone, una elegante ferroviera è infastidita, ma si giustifica: ‘Non è colpa mia. Scelta aziendale’. Lei indossa una divisa di quella azienda. Mi spiega le regole, seccata dal fatto che io sia entrato e non ne abbia il diritto. Mi dice che le informazioni si chiedono al binario Cinque (peccato che nessun cartello lo spieghi). ‘La Carta Oro si ottiene quando, in un anno, si spendono tremila euro in biglietti di treno’. Saletta Vip, dunque. Caffè, wi-fi e poltroncine rosse solo per i soci di un club riservato.

Per dieci minuti sto fermo davanti alla vetrata. Otto persone cercano di entrare nella sala. Senza riuscirvi. Non fanno parte del club. E non possono nemmeno chiedere informazioni. Domando perché alla ferroviera e lei ripete: 'Scelta aziendale'. Accade questo: mi avvicina un socio del club (uno dei viaggiatori privilegiati) e mi dà la sua risposta secca: ‘Così noi perderemmo il nostro diritto a starcene in pace’.


A Firenze, città di turisti e viaggiatori, si privilegia i possessori della Carta Oro rispetto a chi viene in visita alla città e dovrebbe essere trattato come un ospite ben voluto.

Ho un altro sospetto (ideologico, lo ammetto): così si mettono alla porta anche i fastidiosi rom e senza-casa che, a volte, trovavano rifugio nella vecchia sala d’attesa inondandola dei loro odori. La soluzione più semplice, in fondo, non è guardare in faccia il problema, ma chiudere una porta a vetro.
Piccola conferma: mentre salgo su treno, c’è una invisibile caccia all’uomo. Controllori inseguono, in un gioco a rimpiattino, donne rom che cercano di salire sui vagoni di un Frecciargento (43 euro per andare fino a Venezia da Firenze) per lasciare un bigliettino bilingue: ’Sono povera con due bambini….I’m poor with two children homeless….’

Altro pensiero (altrettanto ideologico): ci vuole una colonna sonora a questo piccolo sopruso. Affidata al macchinista-ferroviere e alla chitarra di Francesco Guccini. 
San Casciano in Val di Pesa, 14 marzo



martedì 13 marzo 2012

Il vaso di Pandora



In Mali i ribelli tuareg del Movimento di Liberazione dell’Azawad hanno espugnato la solitaria oasi di Tessalit (poco meno di tremila abitanti, a dar retta ai vecchi censimenti maliani). L’esercito governativo parla di ‘ritiro temporaneo’. La nuova guerra delle sabbie non si arresta, si combatte per il controllo di piste e desolazioni. In quelle solitudini sono sequestrate Rossella Urru e Maria Sandra Mariani. Centoventimila tuareg sono in fuga. Le armi sottratte agli arsenali di Gheddafi alimentano una guerra che sembra, come molte altre, sfuggire a qualsiasi attenzione.

Ai primi di marzo due kamikaze maliani, affiliati a un nuovo movimento jihadista, si sono fatti esplodere di fronte alla gendarmeria di Tamanrasset, la principale città del Sud algerino.

La nuova bandiera libica (da www.esserecomunisti.it)

Nessuno in Libia ha ceduto le armi. Le milizie delle differenti tribù controllano città e territorio. Si contendono i depositi di armi e munizioni. A febbraio sono state un centinaio di milizie delle regioni occidentali a rifiutarsi di riconoscere l’autorità militare del Consiglio Nazionale di Transizione. A marzo, 61 katiba dell’Est libico hanno annunciato l’autonomia della Cirenaica: è la federazione del Barqah, il progetto di ricostruire la Libia divisa in tre stati come ai tempi della monarchia Senussi. Scontro aperto sulla composizione del primo parlamento libico: la Cirenaica non accetterà mai di aver un peso politico minore della Tripolitania. A Misurata si stanno consumando vendette su vendette. Da parte loro, i Fratelli Musulmani libici sanno già di essere i vincitori delle elezioni (quando ci saranno).
L’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, rassicura: ‘La produzione di petrolio libica è tornata quasi normale’. Lo storico Angelo Del Boca ha un'opinione diversa: 'La Libia oggi è quasi una Somalia'. 
Entrambi usano la parola Quasi.

A Homs, in Siria, sono solo bollettini di carneficine. 47 fra donne e bambini uccisi nei quartieri sunniti di Karm al-Zaytun e di al-Adawly. Insorti anti-Assad e esercito si accusano a vicende dell’eccidio. La Russia accusa la Libia di offrire campi di addestramento agli insorti siriani.


Soldati Usa in Afghanistan (da Salvagente.it)


Non vado più a Oriente. Mi imbatterei nella tentazione israeliana di scatenare raid aerei contro l’Iran o in un sergente Usa che uccide famiglie afghane. Il vaso di Pandora è stato aperto. E’ stato follia tenerlo chiuso per decenni e decenni. E’ stato follia chiudere gli occhi e cullarsi nell’illusione di non dovere mai fare i conti con milioni di uomini e donne condannate alla miseria senza futuro. Ora avremo il coraggio di guardare in faccia cosa ne esce?
San Casciano in Val di Pesa, 12 marzo